Solo nel silenzio si può ascoltare la voce di Dio: Martin Scorsese arriva a Silence, film tratto dal romanzo di Shusaku Endo (Silenzio, 1966), progetto cullato dal regista (che ha adattato il film assieme allo sceneggiatore Jay Cocks) da almeno trent’anni. Emerge un racconto potente, forte, profondo, ambientato nel Giappone del XVII secolo sconvolto dalle persecuzioni contro i cristiani. Qui arrivano due giovani padri gesuiti (gli affermati attori Adam Garfield e Adam Driver) sulle tracce di padre Ferreira (Liam Neeson) sul quale gravano voci di abiura della fede cristiana: l’esperienza in quelle terre lontane diventerà una drammatica lotta per mantenere vivo il credo in Dio.
Silence è un’esperienza cinematografica di grande pregio, un racconto orchestrato con maestria e profondità da un regista che si è sempre interrogato su problematiche fondamentali. Nella figura del giovane padre Rodrigues si delinea un lacerante calvario umano e religioso, con i dubbi e le tentazioni create dall’apparente “silenzio di Dio”, reso ancora più lacerante dalle richieste di apostasia da parte dell’inflessibile governatore inquisitore che spinge i convertiti a calpestare immagini sacre e dichiarare in pubblico l’abiura della fede. I due religiosi sono inghiottiti in una sorta di “palude”, una “palude dove non può crescere nulla”, provocando, soprattutto in padre Rodrigues, la stessa angoscia provata da Gesù nell’orto del Getsemani. Una prova di fede durissima in un racconto ampio nella durata (161 minuti) ma sempre convincente ed emotivamente coinvolgente, con i temi cari a Scorsese, in particolare quello del conflitto, centrale in un film dove si procede tra tormenti spirituali, peccato e ricerca di redenzione, i dubbi e la necessità di confermare le certezze dello spirito.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani