Home Attualita “Ci credevamo semidei”, abbiamo vissuto la paura”

“Ci credevamo semidei”, abbiamo vissuto la paura”

Nella fase iniziale, siccome i casi accertati erano pochi, le persone hanno ritenuto l’epidemia irrilevante e passeggera. Per questo si sono perse le prime 3-4 settimane, continuando a fare quello che si è sempre fatto: quando ci si è resi conto che la curva stava crescendo, si è passati all’eccesso opposto, ovvero la chiusura totale. Sono stati due eccessi che hanno provocato da un lato troppi danni sanitari e dall’altro danni economici”. L’economista Stefano Zamagni, classe 1943, riminese, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, è perplesso sulla situazione attuale. Diverse sono le critiche che pone anche nei confronti del Governo sulla gestione dell’emergenza.

Zamagni, siamo usciti dalla chiusura totale ma l’orizzonte è ancora fosco.

“La chiusura totale ha senso se individui delle zone particolari, ma il Governo l’ha estesa a tutta Italia, commettendo un errore gravissimo. C’erano regioni, come quelle dell’Italia meridionale che non avevano contagi. Perché hanno dovuto chiudere le attività? La reazione è stata esagerata: tutti hanno pensato che per proteggerci dal virus volessero far morire l’economia. La Lombardia e Piacenza erano in crisi, certo, ma il blocco totale ha danneggiato altre realtà del Paese.

Si è atteso troppo?

“La Francia ha riaperto le scuole. Perché un ristorante ha delle norme per il distanziamento e la scuola italiana ancora no? Bastava aprire al mattino e al pomeriggio, e dividere le classi e raddoppiare gli stupendi ai docenti per l’impegno profuso”.

Insiste.

“La gestione della crisi si è basata troppo sull’iniettare paura agli italiani. È il fenomeno della «verticalizzazione politica»: facendo paura ai cittadini, io che governo ho un passepartout per ogni cosa. Si è esagerato e ora è normale registrare reazioni in senso contrario, perché la cittadinanza è stufa. Anche i giornalisti hanno sbagliato perché hanno contribuito a diffondere la paura voluta dalla politica”.

“Dai tecnici devo prendere le competenze ma la classe politica deve aggiungerci questa qualità”.

La task force voluta dal Governo era molto nutrita. Rappresentava bene l’intero Paese?

“Non c’era un rappresentante della Chiesa, degli oratori, delle Caritas. Con tutto quello che fanno e vedono le Caritas diocesane distribuite sui territori, perché non è stato chiesto loro di suggerire qualcosa? Le Caritas danno una mano enorme allo Stato. Anzi, senza di loro in questa fase ci sarebbe stata la rivoluzione di piazza, perché tanta gente ha fame. Non si può dire al Terzo Settore: «bravi ragazzi, grazie!» e basta. Non c’è un rappresentante del mondo sociale tra i venti esperti del governo”.

Adesso è il momento del Decreto Rilancio.

“Con la Fase 2 speravamo che si pensasse già alla Fase 3, ovvero alla fine di questo 2020. È una falsità chiamare il decreto con quel nome: sono solo cerotti per evitare che la ferita sanguini ancora.

Rilancio significa far ripartire la macchina. Qui si stanno dando soldi per stare in piedi”.

Quale strategia avrebbe preferito fosse stata adottata?

“La «resilienza stratificata». Invece si è usata la strategia dell’alluvione: quando un fiume esonda, si aspetta che l’acqua rientri nell’alveo del fiume, si chiamano gli operai per eseguire la manutenzione degli argini e nel frattempo si è alle prese con la conta dei danni. Invece occorre trasformare i blocchi, i comparti del nostro welfare come sanità e scuola, poi il Fisco, poi l’economia all’interno dell’epidemia. Qua si stanno mettendo i tamponi, rimborsando i danni a chi ha perso potere d’acquisto. Dare un sollievo alla povera gente che ha sofferto è giusto, ma occorrono altre misure”.

Ad esempio, Zamagni?

“De-burocratizzare subito. In questi provvedimenti non c’è una cosa che va a favore di questa operazione che tutti chiedono”.

Cosa trattenere di questa pandemia?

“Due insegnamenti. Il primo: l’arroganza della nostra società è alla radice di quanto è accaduto. Le tecnologie ci avevano fatto credere che fossimo onnipotenti, dei semidei, e così abbiamo perduto il senso del limite. Ci siamo ritrovati molto più con i piedi per terra a causa del Covid”.

E il secondo?

“Da troppi decenni abbiamo distrutto l’ambiente. È diventato chiaro che la pandemia è frutto della devastazione dell’ambiente circostante. Se di fronte ad un fenomeno come il terremoto, che viene dalle viscere della terra, possiamo fare ben poco, agire a favore dell’ambiente circostante dovrebbe invece essere una nostra prerogativa. Infatti l’inquinamento da C02 rovina gli alveoli polmonari delle persone.

Nelle regioni del Nord siamo assediati dall’inquinamento, gli alveoli dei polmoni degli italiani che vivono qui non hanno la stessa funzionalità di chi abita un’altra zona del Paese”.

Filippo Mulazzi