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Prima campanella, il Vescovo scrive agli studenti


Prima campanella, il Vescovo di Rimini scrive agli studenti: “Giovani, inseguite quelle cose che accendono amore e voglia di vivere”. E non dimentica gli adulti impegnati nel mondo della scuola: 
“Fate emergere i talenti dei ragazzi”. Dalla scuola dipende la qualità del vivere. Parola chiave: vocazione.
Nel momento in cui la mente e le giornate di migliaia di bambini, ragazzi e giovani tornano a riempirsi di impegni, di pensieri, di desideri per l’apertura dell’Anno Scolastico 2018/19, il Vescovo di Rimini rivolge un pensiero particolare per tutti loro, in un appuntamento tradizionale che il pastore ha particolarmente a cuore.
Ogni anno l’inizio della scuola è nuovo e inedito, perché cambiano le persone, cambia la scuola, cambia la realtà in cui si vive. Il vescovo Francesco Lambiasi più che soffermarsi sui problemi e i ritardi che affliggono il sistema scolastico (che sono evidenti e vanno risolti), ritiene che la prima campanella sia un’occasione propizia. Perché la scuola non è materia da soli addetti ai lavori, “ma un bene di tutti da cui dipende in buona misura la qualità del nostro vivere insieme”.
Nella Lettera agli studenti, diffusa anche attraverso i social, il Vescovo Francesco si rivolge direttamente agli studenti e agli adulti. Citando la testimonianza di una ragazza, in occasione dell’incontro dell’11 e 12 agosto a Roma con il Papa. La ragazza parlava della difficoltà di confidare quello che realmente sognava, “perché avrebbe significava scoprirsi completamente agli occhi degli altri e di me stessa”.
Questo episodio contiene diversi insegnamenti. Il Vescovo invita gli adulti non solo a verificare in aula le conoscenze acquisite dai ragazzi, ma soprattutto a far crescere i loro talenti “e indicare loro la via per farli crescere e metterli a frutto”.
Ai giovani spetta il compito di guardarsi “dentro con sincerità”, lasciandosi “coinvolgere in ciò che studiate, aprirvi agli altri e cercare di scoprire – anche a scuola – la vostra vocazione nella vita e nel mondo, senza rinunciare ai sogni più profondi”. Il Vescovo utilizza il termine vocazione, che non è “ecclesialese”. Questa parola “non parla di sacrifici impossibili o di rinunce disumane”, ma di quelle cose che più di tutto accendono “l’amore e la voglia di vivere”.
Il Vescovo chiude la lettera con un auspicio, che riguarda i ragazzi, gli studenti, ma anche gli insegnanti e tutti coloro che lavorano – a vari livelli – nella scuola. “Se nell’anno scolastico ciascuno farà un piccolo passo in avanti in questa direzione (inseguire i sogni più profondi, quelli che accendono l’amore e la voglia di vivere, ndr), sarà certamente un tempo ben speso e un impegno ampiamente ripagato”.
Di seguito, riportiamo la Lettera in versione integrale.

Carissimi,
la riapertura delle scuole segna il cambio di stagione più dei fattori astronomici e meterologici. Il “capodanno” scolastico è infatti una specie di spartiacque. Uno di quei giorni, pochi in realtà, in cui l’attenzione generale si concentra sulla scuola. L’occhio e la penna dei commentatori si fermano soprattutto sui ritardi e sui problemi che affliggono il nostro sistema d’istruzione. Vi risparmio l’elenco. L’occasione però è propizia per raccogliere anche la voce di alcuni di voi e magari far passare il messaggio che la scuola non è materia dei soli addetti ai lavori, ma un bene di tutti da cui dipende in buona misura la qualità del nostro vivere insieme, sia oggi che domani.
Non è una frase fatta ribadire che il grado di civiltà di un Paese si misura da come si occupa delle sue membra più fragili, e fra queste vi sono certamente coloro che si stanno formando e che aspirano ad acquisire gli elementi di fondo per vivere una vita buona e contribuire a costruire la società di cui sono parte.
Questo però non dipende solo dagli adulti che possiedono tale responsabilità, a partire dai vostri genitori e insegnanti, ma in parte anche da voi stessi. Sarebbe ingiusto e sbagliato, infatti, rubarvi la bellezza (e la fatica) di prendere in mano la vostra vita – gradualmente e senza lasciarvi soli – per indirizzarla verso orizzonti di pienezza di senso e di felicità vera. Questi, tra l’altro, sono anche alcuni degli ingredienti essenziali di quello che intendiamo con la parola “vocazione”, a cui sarà dedicato fra pochi giorni il Sinodo dei Vescovi convocato da papa Francesco e per il quale anche la nostra Chiesa di Rimini si è mobilitata con l’ascolto e il dialogo.

A questo proposito, mi ha molto colpito un aspetto dell’incontro fra il Papa e le migliaia di giovani confluiti l’11 e il 12 agosto scorsi a Roma da tutte le diocesi italiane dopo aver camminato e pregato per il Sinodo. Rivolgendo la sua domanda a Francesco, una ragazza ha fatto riferimento alla propria esperienza scolastica e in particolare al momento in cui aveva dovuto scegliere cosa fare dopo le superiori. “Ho avuto paura a confidare quello che realmente sognavo di voler diventare, perché avrebbe significato scoprirsi completamente agli occhi degli altri e di me stessa”, ha raccontato. Nonostante questo, ha deciso di affidarsi al parere di alcuni adulti di cui ammirava la professione e le scelte. Si è così rivolta all’insegnante che stimava di più, quello di Arte. “Gli ho detto che volevo seguire la sua strada, diventare come lui”, ha proseguito. Purtroppo però la risposta di questo professore l’ha delusa: invece di ricevere l’incoraggiamento e la fiducia che cercava, si è vista indicare le scelte più comode e conformiste. Il colpo è stato duro, ma in lei ha comunque prevalso la volontà di seguire la sua passione e oggi studia Arte all’Università.

Ho voluto ricordare questo piccolo episodio perché contiene diversi insegnamenti, rivolti sia a voi che ai vostri insegnanti. Il messaggio per gli adulti è chiaro: dentro le aule scolastiche non vi è chiesto solo di verificare le conoscenze acquisite dai ragazzi, ma di far emergere i loro talenti e indicare loro la via per farli crescere e metterli a frutto. A voi giovani, invece, spetta il compito di guardarvi dentro con sincerità, lasciarvi coinvolgere in ciò che studiate, aprirvi agli altri e cercare di scoprire – anche a scuola – la vostra vocazione nella vita e nel mondo, senza rinunciare ai vostri sogni più profondi per qualcosa che vale di meno. Sì, vocazione. Non dobbiamo aver paura di usare questa parola: non parla di sacrifici impossibili o di rinunce disumane, ma di quelle cose che più di tutto accendono in voi l’amore e la voglia di vivere.
Tanti dei vostri insegnanti sono lì proprio perché hanno seguito la loro vocazione, e non sarebbe male che anche voi li aiutaste a riscoprirla o a rinfrescarla.
Se, nell’anno scolastico che sta iniziando, ciascuno farà un piccolo passo avanti anche in questa direzione, sarà certamente un tempo ben speso e un impegno ampiamente ripagato.
Ve lo auguro di cuore, mentre vi chiedo di darmi la gioia di benedirvi
+ Francesco Lambiasi