Gli ultimi appuntamenti della settantaseiesima edizione del festival riminese
RIMINI, 11 dicembre 2025 – Già lo scorso anno l’associazione intitolata ad Alfredo Speranza aveva organizzato, nell’ambito della Sagra Malatestiana, un omaggio concertistico al pianista – scomparso nel settembre 2019 – che aveva scelto Rimini per vivere e, soprattutto, dar vita alla sua scuola di pianoforte. La serata quest’anno ha avuto come protagonista un duo formato da André Gallo e Igor Roma. Il primo, apprezzato interprete di musica francese (ha eseguito in concerto l’opera omnia per pianoforte di numerosi autori), è nato a Cosenza e si è poi trasferito a Imola per seguire le lezioni di Franco Scala, che ne ha curato la formazione musicale e didattica; attualmente insegna al Conservatorio Maderna-Lettimi di Rimini. Anche il meno giovane collega, originario della Svizzera tedesca e docente al conservatorio Pedrollo di Vicenza, è stato allievo di Scala all’accademia di Imola. Il concerto si è aperto con la Sonata in re maggiore per due pianoforti K.448 di Mozart (1781), dove gli esecutori hanno esaltato la straordinaria freschezza inventiva e la lucentezza di un brano che appare come un gioco divertente, soprattutto nel conclusivo ‘allegro molto’, con lo scoppiettante rondò finale. Mantenendo un ruolo concertante – che Mozart assegna a uno dei due pianoforti – Gallo ha poi avuto modo di affrontare anche le pagine successive con piglio e leggerezza, a cominciare dalle Variazioni su un tema di Haydn di Brahms (il compositore ne aveva realizzato due varianti, una per orchestra e una per due pianoforti), valorizzandone la straordinaria inventiva. Nel successivo Concertino in la minore per due pianoforti di Šostakovič, del 1954, i due interpreti hanno sottolineato le caratteristiche di questa musica spiazzante, che alterna passaggi d’intenso lirismo a toni grotteschi e quasi caricaturali. La serata si è conclusa nel nome di Poulenc (bis compresi), di cui il duo ha proposto il Concerto per due pianoforti (nell’arrangiamento dello stesso Igor Roma), mettendone in risalto l’eterogeneità dei motivi ispiratori e, ancor più, la brillantezza che serpeggia lungo l’intera pagina: una composizione nata per orchestra e due solisti, anche se la trascrizione, seppure non di mano dell’autore, era stata comunque auspicata da Poulenc.

Radicalmente diversa l’atmosfera di Musica al buio: un’esperienza sensoriale, oltre che un vero e proprio concerto, o – se si preferisce – un modo per dilatare la percezione acustica e concentrarsi esclusivamente sul suono. Ad attivare le potentissime sensazioni sonore Sentieri Selvaggi (ensemble specializzato in musica contemporanea), qui presentatosi nella formazione del quartetto d’archi, ossia i bravissimi Piercarlo Sacco, Daniele Richiedei, Virginia Luca e Aya Shimura: rispettivamente violino primo e secondo, viola e violoncello. Hanno proposto In iij. Noct (2003) di Georg Frederich Haas, un brano che per espressa volontà dell’autore va eseguito e ascoltato in una sala completamente buia. Fra i più interessanti compositori di oggi, il musicista austriaco lascia grande libertà agli esecutori che possono così organizzare liberamente la successione delle strutture sonore, anche se devono rispettare alcuni vincoli: non sviluppare più di una volta un’intera sezione e collocare la citazione di un madrigale di Gesualdo da Venosa verso la conclusione. Come sede del concerto è stata scelta la Sala Ressi – il ridotto del Teatro Galli – dove il pubblico ha trovato posto al centro e gli strumentisti nei quattro angoli della sala, in modo da garantire un ascolto quadrifonico. Gli ascoltatori si sono così immersi interamente nel suono, tanto più che l’effetto acustico è stato amplificato dalle caratteristiche stesse della sala, dotata di un fortissimo riverbero: rivelatosi particolarmente funzionale, anzi provvidenziale, nel garantire una potenza sonora la cui dinamica è stata gestita con grande sapienza dai quattro strumentisti.
Proposta interessante grazie a un programma molto ben impaginato, e che il numeroso pubblico – moltissimi i giovani – ha accolto con entusiasmo, la Maratona Beethoven prevedeva gli ultimi tre concerti per pianoforte e orchestra, in abbinamento alle differenti versioni dell’ouverture Leonore: ossia i tre tentativi che lasciarono insoddisfatto l’esigentissimo compositore prima di giungere alla quarta stesura – questa finalmente di suo gradimento – e degna, dunque, di essere utilizzata come sinfonia del Fidelio, unica opera scritta da Beethoven. Aver ascoltato a distanza ravvicinata queste splendide pagine permette di coglierne le sottili differenze, percependo sfumature che talvolta sfuggono. Altrettanto stimolante il confronto dei tre concerti pianistici, prezioso nel mettere a fuoco le trasformazioni della scrittura beethoveniana. La maratona ha preso il via con il Terzo concerto in do minore, scritto nel 1800 e che sembra ancora guardare a Mozart, seppure ormai solo in filigrana: a Nicola Pantani va il merito di aver saputo rendere in modo fresco e spontaneo la brillante dialettica con l’orchestra, valorizzando con grazia e leggerezza le sfumature drammatiche che innervano la pagina. Nel Quarto concerto in sol maggiore del 1805, dove in maniera abbastanza insolita è il pianoforte ad aprire e solo in seguito si aggiunge l’orchestra, è subentrato Maurizio Baglini: un solista in grado di esaltare il lirismo di questa atipica architettura musicale. E di nuovo Baglini è stato l’autorevole protagonista del Quinto concerto in mi bemolle maggiore – più noto con il nome di Imperatore – scritto nel 1809 da un Beethoven ormai sordo, e caratterizzato da un meraviglioso ‘andante’ di cui il pianista ha valorizzato il carattere quasi trascendentale. Sul podio della FORM, Orchestra Filarmonica Marchigiana, il direttore Manlio Benzi ha fornito un valido sostegno ai solisti e ottenuto dagli strumentisti sonorità nitide e corrette, dando modo alle diverse sezioni di mettersi in luce, come succede ai fiati nella Leonore n.3.
Il compito infine di concludere la settantaseiesima edizione della Sagra è stato affidato a un nume della musica antica: Jordi Savall, che per l’appuntamento riminese non ha scelto il periodo storico di cui è un’autorità indiscussa, ma si è spinto in avanti, cimentandosi con Vivaldi. Inutile sottolineare l’appeal sul pubblico di un compositore fra i più amati, anche da parte di chi non frequenta abitualmente le sale da concerto. La scelta aveva comunque un suo motivo d’interesse sul piano filologico, perché Les Musiciens du Concert des Nations (venti strumentiste di otto nazionalità diverse) è un insieme formato da sole donne, nato con l’intenzione di ripetere i fasti del famoso Ospedale della Pietà di Venezia: sostanzialmente un orfanotrofio femminile in cui le bambine erano tenute recluse come in convento, ma in cambio venivano istruite nell’arte musicale, con risultati talvolta eccelsi, soprattutto durante il periodo in cui il responsabile della scuola era Vivaldi.
Solista al violino, un prezioso Ruggeri del 1680, Alfia Bakieva. Il programma prevedeva il Concerto in fa maggiore RV 544 (Il Proteo, o sia Il mondo al rovescio), seguito da altri due entrambi tratti dall’Estro armonico: la raccolta di dodici concerti che consacrò il genio di Vivaldi. La seconda parte era invece dedicata alle celeberrime Quattro stagioni, che rappresentano i primi concerti solistici per violino appartenenti al Cimento dell’armonia e dell’inventione: la loro particolarità è che sono accompagnati da altrettanti sonetti rimasti anonimi (le numerose congetture su chi li abbia scritti non hanno dato esiti sicuri). L’idea di Savall è stata quella di affidarne la lettura a una voce recitante, Arianna Radaelli, che ha intercalato i versi ai movimenti in cui si articolano i quattro concerti. Si è così interrotto il flusso musicale, con un effetto che purtroppo sottrae tensione alla musica. Sarebbe stato forse più efficace leggerli prima di eseguire i brani, oppure ricorrere a delle proiezioni.
Giulia Vannoni







