Bonci, un cervellone in California

    Li chiamano cervelloni. Perché sono veri e propri “mostri” di sapere. Li accusano (spesso) di abbandonare l’Italia, non sapendo, magari, che se ne vanno perché da noi, raggiungere certi obiettivi, avere certe libertà è praticamente impossibile. Prendete il caso di Antonello Bonci, originario di Casteldelci ma sposato con una riminese. Da dieci anni ha lasciato il Bel Paese per trasferirsi all’Ernest Gallo Clinic, famoso centro di ricerca a San Francisco, dove è riuscito a diventare un pioniere nel campo dei meccanismi di plasticità sinaptica alla base di ogni dipendenza.
    “Dopo la laurea nel 1991 – spiega il medico – me ne sono andato negli Stati Uniti perchè mi sono state offerte opportunità nel campo della medicina come fondi e
    possibilità di ricerca. Oggi ho un laboratorio in California con circa 20 persone, sono tra i più giovani, ordinario di neurologia all’Università. Credo che a 40 anni queste cose non mi sarebbero mai accadute in Italia”

    A settimane verrà pubblicato un importante studio che riguarda le tracce mnesiche lasciate nelle cellule nervose dall’abuso di alcol e droga anche a distanza di tempo dal loro consumo; una scoperta che potrà avere conseguenze soprattutto rispetto alla cura delle dipendenze patologiche,
    anche quelle da nicotina. I dettagli saranno top secret, fino alla imminente pubblicazione. Con lui collabora a questo studio un’altra dottoressa riminese, Emanuela Argilli.
    Ma molte sono le dipendenze e le malattie sociali causate dal dolore, e dall’America il professor Bonci vuole continuare a collaborare con Rimini, non solo con l’Istituto ISAL (Istituto di Scienze Algologiche) nato nel
    1993, ma in particolare con la Fondazione Isal senza dolore, nata nel 2007, di cui è membro del Comitato scientifico.
    “Vorrei cambiare la mentalità italiana e aiutare i giovani ricercatori che meritano. Ammiro molto il lavoro del professor William Raffaelli, e dei suoi collaboratori e voglio facilitare lo scambio di nuove tecnologie e scoperte
    tra il nostro Istituto in California e il Dipartimento dove si occupano di terapia del dolore e di dipendenze dai farmaci. La realtà che è stata creata a Rimini è ottima, speriamo che le conoscenze scientifiche possano venire tradotte in benefici per i pazienti
    .
    Approfittando del fatto che in Italia c’è un Governo fresco fresco, il dottor Bonci , accenna un sorriso e lancia un appello a favore della ricerca.
    “I fondi andrebbero centrati in pochi laboratori, di comprovata serietà, allo stesso livello di ciò che si fa negli Usa, senza sparpagliare le risorse. Ci vuole la volontà. Ricordare che conta il saper fare, non le conoscenze e che più in alto si sta, più si è di esempio per chi deve imparare. In America non ci si può permettere di comportarsi male con i giovani. Si viene giudicati non professional e quindi allontanati dall’incarico. Fa carriera solo chi lo merita realmente. Tutti noi italiani all’estero vorremmo tornare a lavorare a casa”.

    Cinzia Sartini

    Raffaeli e la terapia antalgica

    Primail reparto di Terapia antalgica e cure palliative, oggi la Fondazione Isal (Istituto di Scienze Algologiche). Rimini è sempre in prima posizione quando si tratta di curare il dolore e accompagnare il paziente. Non a caso il reparto di di Terapia antalgica e cure palliative è stato uno dei primi aperti in Italia. A questa attività, il dottor William Raffaeli, che dell’Unità operativa di Terapie antalgica e cure palliative dell’Ausl di Rimini è direttore, affianca ora la Fondazione Isal (sempre da lui presieduta), nata a Rimini per lo sviluppo e la ricerca contro il dolore. E forte dell’esperienza di ISAL, tra le prime scuole che ha formato, in questi anni, 450 medici provenienti da tutta Italia. “Ci auguriamo che attraverso questa Fondazione arrivino fondi per le nostre ricerche” ammette Raffaeli. Sostenere anche economicamente il lavoro della Fondazione (che sostiene già diverse borse di studio per ricercatori) è possibile attraverso il 5 per mille della dichiarazione dei redditi (indicando il codice fiscale 91020540406).
    Nel reparto di Terapia Antalgica–Hospice dell’Infermi, giungono pazienti da tutto il Paese in cerca di una soluzione al loro dolore. I dati parlano di 7.500 prestazioni eseguite in un anno, circa 600 i ricoveri per dolore e 350 gli interventi chirurgici, mentre l’attività di hospice si attesta sui 220 ricoveri annuali.
    “Molti pazienti sostengono che non hanno il coraggio di ammazzarsi, ma che desiderebbero morire ogni giorno a causa del grande dolore che non li abbandona. Stare in questa condizione modifica la coscienza della realtà. – avverte il dottor Raffaeli – Si tratta di dolori che non sono mentali, ma fisici. Un ragazzo riccionese da 10 anni non esce di casa, perché sulla pelle ha dei recettori che lo fanno star male anche se soffia soltanto una piccola brezza leggera”. È atroce. Per il professor Raffaelli, il 70% dei dolori causati da malattie come il cancro, si possono curare, ma quelli cronici, durano tutta la vita e non si riesce né a smettere di soffrire né a morire, perché non sono terminali.
    Le donne soffrono di dolore cronico in un rapporto 8 a 1 rispetto agli uomini. L’obiettivo della cura è quindi permettere il recupero delle abilità delle persone, controllandone il dolore, per migliorarne la qualità della vita. Il dolore si cura anche con la presenza nei padiglioni di via Ovidio. (c.s.)


    Dalla canotta al camice. Fabio Piscaglia, luminare per le malattie del fegato

    In America ci va, ma solo a presentare i suoi studi, quelli importanti sulla cura del fegato. Il riminese Fabio Piscaglia, 40 anni, è un esempio di come non tutti i cervelli italiani volino all’estero per mettere a frutto studi e professionalità.
    40 anni, ex giocatore di basket, figlio di Alessandro, noto medico di ‘famiglia’ riminese, Fabio è ricercatore universitario del Dipartimento di Medicina Interna e Gastroenterologia all’Universita degli Studi di Bologna, Unità Operativa guidata dal professor Bolondi, con il quale ha redatto diverse pubblicazioni nel campo della medicina e ultrasonografia. In Florida, e più precisamente ad Orlando, lui ci vola spesso, ma solo a presentare i risultati delle ricerche italiane, come quella tutta ‘bolognese’ su un nuovo farmaco, in occasione del Congresso degli oncologi clinici americani.
    Attualmemente abita a Bologna, ma il suo legame con Rimini, come molti altri medici che lavorano sotto le Due Torri, è indissolubile, e non solo perché tra l’Arco d’Augusto e il ponte di Tiberio c’è nato. La famiglia, ma anche il mare, i ricordi di gioventù, di quando giocava a pallacanestro, sul parquet del Flaminio con la canotta biancorossa dell’allora Marr, sono il cordone ombelicale mai reciso con la città d’origine.
    “Fabio ha sempre eccelso in ogni materia fin da bambino…”. Il libretto dell’Università, vergato in pratica con tutti 30 e lode, lo dimostra. E il padre lo mostra orgoglioso, insieme a disegni e ritratti che conserva gelosamente.
    “Lui sicuramente non vorrebbe, perché è modesto e riservato” assicura Piscaglia senior.
    Non avrà sfondato sotto canestro dopo un avvio promettente nelle giovanili, ma Fabio si è rifatto con gli interessi, come luminare nella cura dei tumori epatici, Piscaglia è cresciuto nell’ambiente dell’Azione Cattolica, dove ha incontrato sua moglie Laura, anche lei medico. Impegnatissimo, è anche membro del Comitato Coordinatore dell’Associazione italiana per lo studio del fegato (A.I.S.F.), che persegue i suoi obiettivi attraverso iniziative dedicate alla formazione e allo scambio delle conoscenze scientifiche e finanziando con borse di studio l’attivita di ricerca di giovani epatologi. L’alto numero di pazienti con malattie legate al funzionamento epatico, fa dell’Italia un polo d’eccellenza per l’avanzamento delle conoscenze scientifiche in questo campo. Anche con l’apporto del riminese Piscaglia (c.s.)