Badanti, storie vere, senza pregiudizi

    Hanno investito tutti i propri risparmi per il viaggio; sono donne che soffrono di nostalgia per la lontananza dei propri familiari e della propria terra; donne che, a 50 anni, si sono trovate senza casa e senza lavoro. Sono queste le ‘badanti’ raccontate nel libro Le donne dell’Est e gli anziani a Rimini, curato dall’Osservatorio delle povertà e delle risorse della Caritas diocesana. Vengono presentate una ventina di storie e i risultati di un’indagine svolta su un campione di 300 donne.

    Isabella, perché questo libro?
    “Quest’anno la Caritas sta riflettendo molto sul tema dell’immigrazione, in linea con gli orientamenti nazionali. I dati della Provincia di Rimini parlano di 22.545 persone straniere residenti (al 1.1.2008), il 7,6% della popolazione residente complessiva, con un incremento rispetto all’anno precedente di 2.766 persone. È quindi necessario sviluppare una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, dove le diverse nazionalità possano aver modo di dialogare e conoscersi. Questo libro si pone l’obiettivo di far conoscere alla cittadinanza chi sono le persone che comunemente vengono chiamate «badanti»; donne che si incontrano nei parchi, in piazza, nei supermercati, nelle vie a spingere una carrozzina, ma donne che, al di là del loro mestiere, spesso, non conosciamo”, spiega Isabella, responsabile dell’Osservatorio.

    La scelta di condurre un’indagine per capire chi sono le persone che accudiscono gli anziani a Rimini, è scaturita anche da una riflessione del vescovo Lambiasi:
    “Vorrei qui, in particolare, attirare l’attenzione sul fenomeno delle badanti che si prendono cura di persone anziane o disabili, o che esercitano il servizio di collaboratrici domestiche. Va notato che, assistendo un anziano o un disabile, le donne immigrate fanno risparmiare denaro pubblico alle istituzioni che dovrebbero offrire residenze sanitarie o almeno sussidi proporzionati per l’assistenza a tali persone. Inoltre le badanti, fornendo un’assistenza domiciliare, sono in grado di offrire una qualità di cura «a livello familiare» che le relative strutture pubbliche non possono prestare. Mi unisco perciò a quanti – a cominciare dalle famiglie degli anziani e dei disabili che usufruiscono del lavoro di cura da parte delle badanti – chiedono che venga accolta la richiesta della loro regolarizzazione, secondo la legge”, così il Vescovo durante l’omelia, in occasione della festa di San Gaudenzo.

    Cosa è cambiato nella tua percezione del fenomeno delle badanti, attraverso questa ricerca? “Intervistare queste donne è stata per me una grande occasione di crescita, di apertura. Le interviste sono state realizzate sulla traccia di un questionario semi strutturato. Mi sono confrontata con loro, abbiamo riso sulle differenze tra le culture e mi è anche capitato di piangere o consolare le donne quando scoppiavano in lacrime al pensiero dei loro trascorsi o dei figli o nipoti lasciati in patria.
    Oltre alle domande del questionario, sono state tante le questioni emerse nell’incontro con le donne e le loro storie.
    Mi sono chiesta: perché donne che potrebbero andare in pensione scelgono di emigrare, di spostarsi per lavorare e non mandano i propri figli? È giusto che una donna di 50 anni che ha sempre lavorato onestamente e con passione si ritrovi costretta a lasciare il proprio Paese ed affrontare il carcere, perché priva di documenti, perché il suo Paese le riconosce una pensione di 50 euro? È giusto che una persona lavori 24 ore su 24 senza un giorno di riposo e costretta a non poter mai tornare a casa perché priva di documenti? A volte, sono state le donne stesse a rispondermi. Spesso delle badanti si parla in modo negativo «vengono in Italia per “rubare” i mariti, fanno denunce e querele per fregare gli italiani, si fidanzano con i propri assistiti…». Pensavo di incontrare diversi casi di questo tipo, invece mi sono accorta che la percentuale è minore rispetto a quella che pensavo”.

    Che cosa ti ha colpito durante questo lavoro?
    “La cosa che mi ha colpito di più è stata l’accoglienza, che ho riscontrato in diversi momenti di incontro con queste donne. Mi hanno accolto senza diffidenza, dopo le prime domande il clima si faceva subito amicale e mi raccontavano le loro storie con molta tranquillità”.
    Nella chiesa di via Madonna della Scala, ogni domenica, dal 2001, viene celebrata la messa in rito greco-cattolico; occasione, per le donne dell’Est, di pregare e di incontrarsi.

    Letizia Rossi