Perché ascoltare i giovani? Come atteggiarsi ad un ascolto attivo? Cosa ascoltare di tipico e originale delle nuove generazioni? Non sempre è facile poter dare una degna risposta a ciascuno di questi interrogativi ma ciò che risulta ancora più complicato è trovare il canale più idoneo a veicolare la risposta per indirizzarla ai veri destinatari, i giovanissimi. Sempre più presi dall’utilizzo della Rete, che di per sé è tanto condivisione quanto passatempo ambito, i ragazzi rischiano di perdere con il tempo l’interesse verso l’ascolto di un’altra persona, interlocutore che oggigiorno si riconosce maggiormente nello schermo di un pc o nel display di un tablet o di uno smartphone di ultimata tecnologia. Per indagare questo fenomeno 3.0, la Pastorale giovanile e vocazionale della diocesi di Rimini ha dato vita a un ciclo di incontri formativi sul tema dell’ascolto attivo in preparazione al Sinodo dei Giovani del 2018 voluto da Papa Francesco. Nel corso dei tre appuntamenti ci si è posti, e ci si porrà, l’obiettivo di volere imparare ascoltando e interagendo attivamente. Il primo dei tre laboratori teorico-pratici attraverso i quali rilanciare l’ascolto e il dialogo si è tenuto nella serata di lunedì 29 gennaio presso il Seminario con la partecipazione del più grande esperto italiano di psicodramma biblico, il gesuita Beppe Bertagna.
Perché ascoltare? La prima risposta a questo interrogativo l’ha fornita il Vescovo di Rimini mons. Francesco Lambiasi spiegando che “il verbo ascoltare torna di frequente nell’Antico Testamento. Si parla di religione dell’ascolto: Dio parla e chiede al suo popolo l’ascolto. La cosa più importante che si può portare dentro di sé è un cuore che ascolta. Lo dice anche San Benedetto all’inizio della sua regola, il quale quando si rivolge ai seguaci del suo cammino raccomanda l’ascolto”.
Ma che cos’è l’ascolto? L’ascolto è innanzitutto incontro, avvicinarsi all’altro e capirlo attraverso i sensi e il cuore. Un incontro che deve avvenire mediante i corpi e attraverso il pensiero. È questa la lettura condivisa dal professore Bertagna che quasi creando un’agorà ha chiesto a tutte le persone presenti al laboratorio di dare vita a un realtà partecipata e interattiva.
Professore, che cosa intende quando parla di ‘decentramento percettivo’?
“Decentrare se stessi per provare a percepire quello che percepisce l’altro. Io non credo nei miracoli. L’unico miracolo avviene nel momento in cui due persone si incontrano e quando una tra loro riesce a portare il peso del dolore dell’altra. È proprio quello che Gesù cerca quando compie i miracoli: incontrare. E lo ha fatto fino alla fine quando ormai in Croce è riuscito a incontrare una persona. Gli ultimi uomini che ha incontrato sono il centurione sotto la croce e il malfattore. Da loro è nato il Vangelo”.
Rivolgendosi ai ragazzi ha esordito dicendo ‘Facciamo uno psicodramma biblico’. Di che cosa si tratta?
“La Bibbia, prima di essere composta da parole e da contenuti, è fatta di personaggi, figure profondamente umane e complesse, che hanno zone di luce e di ombra, zone di speranze e zone di disperazione. Questo metodo di lettura è di grande efficacia per cogliere tutta l’umanità che c’è nel Testo e nei suoi personaggi. Si pensi alla figura di Abramo che la Bibbia ci presenta non a caso, ma perché ognuno di noi possa sentirsi come lui, e se ci sentiamo come lui abbiamo la possibilità di intraprendere quel cammino dell’esperienza di Dio. Questi personaggi hanno lo scopo di portarci dentro la storia affinché entriamo in contatto con la buona notizia, che ha senso se diventa parte di noi e della nostra vita. Il Vangelo è una buona notizia perché oltre a dirci una cosa bella ci fa capire che è per noi. Perché io capisca questo devo entrare nella Bibbia vestendo i panni di quei personaggi e sentire le loro cose come fossero le mie”.
Cosa che ha fatto in questo primo incontro.
“Il Vangelo è per tutti, non solo per un gruppo. Ci vuole comunicare che c’è un amore che si dona, un amore specialissimo perché vuole raggiungere tutti e che non chiede niente in cambio, non chiede di contrattare e neppure di essere ringraziato. Un amore che di suo non mette nessuna condizione, che non ha bisogno di nessun contraccambio, pienamente gratuito. E questo amore che i Vangeli ci raccontano come essenza pura, presente anche nei racconti della passione di Gesù, esiste ed è possibile. Questa è la buona notizia. Per tale ragione ho voluto che i ragazzi e le persone presenti partecipassero attivamente alla mia lezione teatrale avendo davanti a sé un solo compito: entrare in una storia presente nel Vangelo in grado di portarci a contatto con l’oggi”.
Ed ecco che ha messo in scena la storia del sordomuto che si presenta al cospetto di Gesù. Perché l’ha definita una ‘storia di egoismo’?
“Ho voluto dare vita alla storia di un uomo giovane a cui vicende varie della vita hanno tolto l’uso dell’udito. Per dire cosa? I ragazzi devono sapere e capire che senza ascolto non c’è parola, non c’è educazione dei muscoli della bocca, delle corde vocali, della capacità eccezionale che è quella di produrre delle azioni, ossia un linguaggio. Una persona che ha perso l’udito ha perso anche la parola. A volte prova a parlare ma sono parole tutte sue. Suonano come strane imitazioni dei movimenti della bocca degli altri. Lui non sente. Vede la bocca che si muove ma non sente. Per questo per prima cosa siamo penetrati dentro la vita di questo giovane per chiedergli: Come vedi la vita? Come vedi te stesso? Come vedi il tuo stare al mondo? Fino a immedesimarci e chiederci: Sono sordo e muto: per me la vita è?”
Poi avviene l’incontro con Gesù.
“Esatto. Tra le tante domande che ci siamo posti e a cui abbiamo cercato di fornire delle risposte ne arriva un’ultima: Cosa spingerà questo ragazzo a dire di sì e a voler incontrare Gesù? Il suo egoismo. La possibilità che ha intravisto di poter finalmente avere l’uso delle orecchie e vivere la sua vita liberamente. Vivere come persone normali. Nessuno di noi sa cosa vive un sordomuto, cosa ha vissuto, cosa hanno vissuto i suoi genitori, i suoi amici, chi lo conosce. Non la sappiamo ma il Vangelo ci consente con i tanti personaggi di entrare nella vita di queste persone senza avere paura di dire io sono un sordomuto. Ecco che ritroviamo l’ascolto e con questo l’incontro tra due storie, due vite, due persone”.
Alessandro Notarnicola