Acciaccato ma al mio posto

    Sacrificio, tenacia, lavoro, ingegno e un pò di fortuna. Sono queste le determinanti della vita di Terzo Battazza, 95 anni, 60 dei quali passati sul posto di lavoro. Oggi è a capo di un impero costruito dal nulla, dopo un trasferimento nel 1948 dalla città natale, la piccola Auditore, ultimo paese della Diocesi di Rimini.
    “Io sono nato in provincia di Pesaro, ma mi sono trasferito a Lecco per cercare di costruire una vita migliore, per me, per mia moglie Angela, mancata 7 anni fa e per i miei 6 figli – Piero, Tino, Angelo, Vittorio, Fernando e Elide – che adesso lavorano tutti nell’azienda di famiglia, assieme ai miei due nipoti maschi”.
    Oggi la ditta Battazza Spa, è una delle aziende di trasporti più importanti d’Italia, occupa 50 persone e ha un parco mezzi di 150 unità tra le più all’avanguardia, divise tra motrici, rimorchi e autogru. “Quando mi sono trasferito a Lecco, ho cominciato lavorando con una ditta che raccoglieva rifiuti solidi urbani: la Bracchi & Alessandri – me lo ricordo come se fosse ieri – sostituivo il padre che stava andando in pensione. Poi quella ditta perse un appalto e di conseguenza io persi il lavoro. Mi sono lanciato nel mondo dei trasporti e piano piano sono andato avanti”.
    Il primo mezzo di trasporto acquistato da Terzo è stato una motoretta, poi è arrivato il socio con il quale ha acquistato la prima motrice che in corredo si portava dietro un gran numero di cambiali da smaltire a colpi di cinquanta mila lire l’una.
    Il vero cambiamento della famiglia Battazza avvenne nel 1963, quando Terzo liquidò il socio e costituì l’azienda di famiglia. Gli anni ’80 e gli anni ’90 furono quelli dell’affermazione e della crescita vera e propria.
    “Tutto è andato bene – continua Terzo – e oggi che ho 95 anni e ne ho viste di cotte e di crude posso dire che la cosa che più di ogni altro mi ha pesato nel corso di questa lunga vita è stato lasciare la mia casa natale, fare quella valigia e andare via da Auditore, dove avevo trascorso tanti momenti belli della ma vita”.
    Terzo nasce da una famiglia di contadini, nel 1912. Era un periodo duro e senza grandi prospettive di lavoro e per di più perse il padre quando aveva appena otto mesi. Poi la nuova vita a Lecco che non fu priva di sacrifici e rinunce, con 6 figli piccoli e sempre alla ricerca di un modo per far quadrare i conti. “Cercavo di ingegnarmi per racimolare qualcosa, andavo persino fuori dalle mense delle grandi aziende di Lecco per poter dare da mangiare a tutti”.
    Prima di arrivare all’impero, Terzo passò per l’allevamento di maiali – che poi morirono di malattia – di polli – che poi gli furono rubati – e per la raccolta di rifiuti differenziata porta a porta: “dal fondo del lago recuperavo vetri, stracci e tutto ciò che gli altri buttavano, io li riportavo ai rivenditori”. Oggi gli anni non sembrano piegare il signor Battazza, che guida ancora da leader il suo gruppo, rimanendo informato su tutto e supervisionando i lavori dei 50 dipendenti, compresi i figli e i nipoti.“Vado tutti i giorni al lavoro, e ci vado guidando la mia macchina. Non dico che i miei anni non li senta, ho tutti i miei acciacchi, ma non chiedetemi di fare il pensionato perché a stare a casa non ci penso nemmeno”.
    Il futuro?
    “Da una parte penso in modo positivo perché vedo i miei nipoti, la terza generazione di Battazza, che ha voglia di portare avanti l’azienda di famiglia, dall’altra le cose non vanno molto bene, a causa della recessione del mercato che ha coinvolto tutti”. Terzo Battazza, ricorda i tempi d’oro, quando lavorava con le grandi aziende lecchesi e poi di tutta Italia. La crisi nazionale pare avere avvolto anche lo spirito imprenditoriale e ingegnoso del leader: “Il problema è che in pochi sono disposti a fare questo lavoro con passione, ma io continuo a tenere duro, guardo i miei nipoti e vado al lavoro giorno dopo giorno. Quando arrivai con la famiglia misi due rametti per delimitare la strada dove si trovava la mia casa, oggi quei rametti sono diventati due pioppi giganteschi, che mi guardano come fossero un segno di speranza”.

    Angela De Rubeis