Home Politica locale Un miraggio chiamato casa

Un miraggio chiamato casa

A pensarci bene è un po’ paradossale. Stiamo parlando della “questione” casa che non si trova. Su quotidiani e siti dedicati si continua a scrivere che la popolazione è in calo, ma poi si vedono cantieri spuntare come funghi. Dal 2010 al 2024, in provincia di Rimini, sono state costruite ben 6.431 nuove abitazioni.

Sommando i due fenomeni meno cittadini, più case, dovremmo attenderci il contrario: chi cerca un nuovo tetto da mettere sopra la testa non dovrebbe avere problemi.

Invece non accade. Per la semplice ragione che i due mercati, quello della domanda e dell’offerta, procedono su binari separati soprattutto per via dei prezzi. Insomma, gli alloggi ci sono ma uno su quattro risulta vuoto. Nell’entroterra, ma qui entrano in gioco abbandono e spopolamento, va anche peggio: risultano, infatti, non occupate più della metà delle case di Sant’Agata Feltria, Pennabilli e Montecopiolo. Da questo punto di vista, le mura non abitate sulla costa sono di meno: a Bellaria Igea Marina il 37%, a Rimini il 18%, a Riccione il 31% e a Cattolica il 30%. Ma allora come è possibile che non si trovi casa? Semplicemente perché molte vengono utilizzate d’estate con la formula degli affitti brevi. Uno sguardo lo merita anche la situazione degli alloggi Erp: a fine 2023 le domande per averne uno erano 3.166, di cui 2.027 solo a Rimini. Quelli attualmente disponibili sono 2.161. Se la matematica non è un’opinione significa che mancano ben 4.000 case. E poi c’è la questione sfratti, un’altra piaga tutta riminese.

IL MIRAGGIO DELLA CASA E 4.000 ALLOGGI CHE MANCANO

A pensarci bene è un po’ paradossale. Stiamo parlando della questione casa che non si trova. Su tutti i giornali, da qualche tempo, leggiamo del calo della popolazione, ma poi vediamo spuntare cantieri dappertutto (dal 2010 al 2024 sono state costruite, in provincia di Rimini, 6.431 nuove abitazioni). Sommando i due fenomeni (meno popolazione e più abitazioni) dovremmo attenderci il contrario e chi cerca un alloggio non dovrebbe avere problemi nel reperirne una. Invece non succede. Per la semplice ragione che i due mercati, la domanda e l’offerta di una casa, per via dei prezzi non si incontrano e procedono su binari separati.
Il privato che costruisce pensa al massimo profitto ed è orientato in quella direzione. Nel quadrilatero della moda, al centro di Milano, di cui si è discusso molto negli ultimi tempi, gli immobili sono arrivati a costare 39.000 euro al metro quadro, sette volte la media della città. Chi può permetterselo compra, tutti gli altri (operai, impiegati, infermieri, insegnanti, classe media, in pratica la maggioranza) sono relegati in periferia, dove i prezzi sono più accessibili. Espulsi dalle aree centrali, ma anche semi centrali, nonostante tocchi a loro mandare avanti i servizi e le attività che tengono in piedi la città.
È una delle tante conseguenze della crescente concentrazione della ricchezza in pochissime mani. Scrive “Oxfam Italia” nel suo ultimo rapporto sulle disuguaglianze che “dall’inizio di questo decennio la ricchezza dei 5 miliardari più ricchi al mondo è più che raddoppiata, in termini reali, mentre quella del 60% più povero dell’umanità non ha registrato alcuna crescita”. Vale anche per l’Italia.
Se poi i governi fanno a gara per attirare i super ricchi sul proprio territorio, offrendo sconti fiscali di cui nessuna persona normale può godere (il calciatore Ronaldo, nel 2018, governo Renzi, quando si è trasferito alla Juventus avrebbe dovuto pagare al fisco 43 milioni, invece se l’è cavata con 100.000 euro, una aliquota effettiva dello 0,1%!), si capisce come si alimenta il cerchio ristretto della ricchezza.
La giustificazione è di attrarre, così facendo, investimenti. Vero. Per alzare grattacieli e immobili di lusso ci vogliono tanti denari. Ma sono investimenti speculativi, non fabbriche per nuovi beni e servizi che danno lavoro. In aggiunta si è sviluppato, oramai da parecchi anni, soprattutto nella zone centrali delle città, il fenomeno degli affitti brevi per turismo che rendono di più, e danno meno problemi di rilascio, di qualsiasi altro impiego degli immobili. Gestione cui ricorrono non solo le agenzie immobiliari, anche se queste la fanno da padrone (secondo Inside Airbnb a Roma, nel centro storico, il 70 per cento degli host gestisce più di un immobile. Addirittura solo l’account, “Elena Sofia”, risulta proprietario di 231 appartamenti) ma anche normali residenti, con qualche immobile disponibile da locare. Abitazioni affittate sulle piattaforme online che, contrariamente però al sentire diffuso, rappresenterebbero, almeno nelle maggiori città, meno del due per cento delle abitazioni non occupate (Sole 24 Ore del 22/09/2025). La conclusione è semplice: sempre meno immobili sono disponibili, per l’acquisto o per l’affitto, alle persone con un salario medio, non solo operai e impiegati, ma spesso anche professionisti. Per non parlare degli immigrati che guadagnano ancora meno degli italiani. È stato calcolato (testata Will) che per affittare 40 metri quadri a Milano o Firenze, costo superiore a 900 euro, servirebbe, per non essere strozzati, cioè con un affitto che non superi un terzo dello stipendio, un salario di almeno 2.700 euro, che non esiste, se non in rari casi. Men che meno a Rimini.

Il caso Rimini

Rimini, al contrario di Milano, ha un solo grattacielo (l’altro è a Cesenatico) e non pare ci sia qualcuno che ne voglia costruire altri, ma per il resto soffre le stesse criticità delle altre città. Le case non si trovano, chi deve trasferirsi per lavoro non trova alloggio, capita anche alle imprese locali che vogliono assumere, e gli affitti, oltre che introvabili, oramai assorbono oltre la metà dello stipendio (per un affitto di 700/800 euro il salario non dovrebbe essere inferiore a 2.100/2.400 euro, ma a Rimini la retribuzione media lorda di un dipendente non arriva a 1.500 euro al mese!). Poi ci sono i giovani che, per l’offerta di lavoro e la non disponibilità di alloggi accessibili, non hanno nessuna possibilità di uscire dalla famiglia e rendersi autonomi. Salvo emigrare, come fanno tanti. Eppure le abitazioni non mancano. Potenzialmente tutte le famiglie residenti ne hanno grosso modo una (nel 2021 ci sono 147.000 le abitazioni occupate da residenti, per 150.000 famiglie) e la  differenza che rimane fuori in teoria avrebbe a disposizione ben 47.000 alloggi vuoti o occupati da non residenti (spesso alloggi vacanza). Alloggi vuoti che solo nell’ultimo ventennio sono cresciuti dell’81%. Sarà un caso, ma nella provincia di Rimini, con maggiore accentuazione sulla costa, il suolo consumato per costruire ha raggiunto il 12,5% del totale, superando tutte le altre province dell’Emilia-Romagna. Tanti alloggi ma uno su quattro risulta vuoto. Nell’entroterra, ma qui entra in gioco abbandono e spopolamento, va anche peggio: risultano infatti non occupate più della metà delle abitazioni di Sant’Agata Feltria, Pennabilli e Montecopiolo, e addirittura tre su quattro a Casteldelci. Da questo punto di vista gli alloggi vuoti sulla costa sono più contenuti: Bellaria Igea Marina 37%, Rimini leggermente meno del 18%, Riccione 31%, Misano Adriatico 37% e Cattolica 30%. Diverso se guardiamo i valori assoluti, perché sulla costa, dove pesa il turismo, sono concentrati il 69 % (33 mila) degli alloggi non occupati della provincia.

 

Ma allora come è possibile che non si trovi casa con tanti alloggi a disposizione? La verità è che sono vuoti di residenti, ma non completamente inutilizzati. Tanti sono occupati solo d’estate (basta visitare alcune zone d’inverno, fronte mare, per verificare) e un discreto numero, comunque minoritario, sono locati con la formula degli affitti brevi, molto più redditizia. Solo nel comune di Rimini gli alloggi sulla più nota piattaforma di affitti brevi sono stimati in 1.200/1500. Che sono il doppio di quanti ne esistevano prima del Covid, ma pare in calo (990 a fine agosto) dopo l’introduzione obbligatoria del Cin (Codice identificativo nazionale). Però è anche vero che, sempre nel capoluogo, le abitazioni non occupate superano le 14.000 unità. Da cui si deduce che questa tipologia d’uso turistico ne prende intorno al dieci per cento circa. Tutte le altre? Perché è un fatto che trovare abitazioni in affitto, anche per chi può offrire tutte le garanzie, è diventata una impresa disperata. Anche quando di mezzo c’è il Comune ad offrire incentivi economici e garanzie ai proprietari: il Patto per casa del Comune di Rimini ha ottenuto appena una manciata (otto a dicembre scorso) di adesioni. L’affitto, negli ultimi decenni, non è scomparso ma è vero che si è notevolmente ridotto: da un terzo a un sesto delle abitazioni disponibili. Nel frattempo è aumentata la proprietà, che oggi riguarda tre abitazioni su quattro.

Edilizia pubblica: a Rimini mancano 4.000 alloggi

Complici la precarietà del lavoro, i bassi salari (Rimini è agli ultimi posti in regione) e la perdita di potere d’acquisto, acquistare casa è diventato un affare proibitivo. In verità non solo a Rimini ma un po’ dappertutto (in Italia solo il 3,8% delle famiglie vive in abitazioni di edilizia sociale, contro il 16% della Francia, il 14% della Germania, l’11% della Spagna e il 29% dell’Olanda). Quando gli immobiliaristi non hanno interesse a costruire perché i margini di guadagno sono ridotti, dovrebbe essere il Pubblico a farsene carico. Ma nonostante la casa sia diventata una emergenza nazionale, per scoprire l’ultimo piano casa nazionale veramente efficace bisogna risale agli anni Cinquanta del secolo scorso, quando l’allora ministro democristiano del lavoro Amintore Fanfani si inventò il Piano INA-Casa, che a Rimini ha dato il nome ad un Quartiere, con la costruzione di circa 3.000 alloggi. Poi, negli anni Settanta arrivarono i PEEP (Piani di edilizia economico popolare) che, sempre a Rimini, hanno voluto dire 50.000 vani costruiti su superfici vincolate, prevalentemente di proprietà pubblica. Da allora piccoli raddoppi, ma niente di significativo. Arriviamo ai giorni nostri. In provincia di Rimini per 2.161 alloggi in Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) disponibili, dove gli affitti sono effettivamente calmierati, le domande, a fine 2023, ammontavano a ben 3.166, di cui 2.027 solo nel capoluogo. Considerando che nell’ultimo anno (2023) le assegnazioni (perché un alloggio venga assegnato bisogna che si liberi) sono state 99, e grosso modo è la cifra annuale, chi è in fondo alla lista deve prepararsi ad aspettare almeno un ventennio prima di vedere soddisfatta la sua richiesta. Tempi decisamente lunghi e che probabilmente scoraggia la presentazione di ulteriori domande. Non c’è da sorprendersi perché Rimini vive una situazione particolare: è la provincia, in Emilia-Romagna, con il rapporto percentuale domande/alloggi disponibili più alto: 146 (vuol dire 1,5 domande per alloggio), che diventa 169,7 nel comune Capoluogo, quando a Ravenna sono 77, Bologna 46, Forlì 41 e più indietro tutti gli altri. In regione il rapporto domande su alloggi Erp disponibili si ferma in media al 52% (0,5 domande per alloggio). Significa che in provincia di Rimini questo rapporto è quasi il triplo più elevato e nel capoluogo persino superiore (RER, Rapporto Edilizia Residenziale Pubblica in Locazione, 2019-2023, novembre 2024). A questo punto, per raggiungere la stesso rapporto domande/alloggi disponibili della media regionale, in provincia di Rimini occorrerebbero disporre di oltre 6.000 alloggi ERP, quasi 4.000 in più di quelli attualmente disponibili. Aumento quasi interamente a carico (2.656 nuovi alloggi da aggiungere agli attuali 1.195) del Comune di Rimini, dove si concentra il grosso delle domande e dell’offerta. Con questo deficit da recuperare, retaggio di una disattenzione storica (dire che Acer Rimini è stata avviata nel 1997 non è una ragione valida), la costruzione di qualche decina di alloggi popolari (un centinaio, intanto i 36 alloggi Acer previsti in via Bassi a Rimini sono stati posticipati di due anni) va sempre accolta con favore, ma è evidente che siamo alla classica goccia nel mare. Lontano tanto dalle necessità, anche quelle più urgenti (per dare una idea, tra il 1947 e 1950 nel comune di Rimini furono costruiti 887 alloggi popolari). Ci vorrebbe ben altro, quanto meno un piano decennale. La redazione dei prossimi PUG (Piani Urbanistici Generali) potrebbe essere l’occasione buona per mettere nero su bianco un impegno concreto. Ma ci vogliono tanti denari, che i comuni non hanno e il governo non pare disponibile a metterli (secondo l’Osservatorio sui conti pubblici, per costruire, in Italia, 50.000 alloggi servirebbero almeno 12,5 miliardi di euro). Un recente bando per la riqualificazione di alloggi pubblici della Regione Emilia-Romagna ha assegnato alla provincia di Rimini 630.903 mila euro, circa 300.000 meno di Forlì-Cesena e Ravenna. Esito scontato, perché meno ne hai e meno ne puoi riqualificare. Un aiuto, ma la soluzione resta lontana. Per non parlare poi della carenza di alloggi universitari: il Polo di Rimini ha circa 5.000 iscritti, di cui 900 stranieri, ma gli studentati dispongono di appena 100 posti. Urbino, con 11.000 studenti, di posti letto per studenti ne ha 1.500. Mantenendo le proporzioni a Rimini ne occorrerebbero 700.

 

Gli sfratti

Un piano di costruzione di nuovi alloggi ERP dovrebbe diventare una priorità delle Amministrazioni più interessate visto anche la ripresa, dopo la pausa Covid, delle richieste di esecuzione dei provvedimenti di sfratto, anche se quelli eseguiti restano contenuti, ma comunque superiori ad un centinaio l’anno. Cioè più degli alloggi che vengono annualmente riassegnati.  Tre provvedimenti di sfratto emessi su quattro sono per causa morosità, il resto per finita locazione.