La Rete, purtroppo, nasconde tante insidie. Tra queste vi sono le community frequentate da persone che riversano le proprie fragilità in gruppi chiusi, che si autoalimentano amplificandone disagi, fino a degenerare in vero e proprio odio
rovare un posto sicuro in cui sentirsi compresi è senza dubbio tra i più profondi bisogni umani, e in un mondo sempre più digitale non sorprende che, per alcune persone, questo luogo sia una community online. Ormai esistono milioni di pagine web sui temi più svariati, in cui chi ha interessi che non condivide con i propri conoscenti può confrontarsi e, perché no, sfogarsi con utenti in situazioni simili. È stato forse per questo che, nel 1997, una donna canadese ha creato la community degli Incel, nata come luogo di rifugio per uomini e donne che incontravano difficoltà nel trovare l’amore, ma presto degenerata in una camera d’eco per ideali estremi e misogini, dando vita a un’articolata subcultura che prende il nome di Manosfera.
La parola “Incel”, ormai assai nota, deriva dalla combinazione dei termini “Involuntary Celibate”, “celibe involontario” e descrive uomini che si identificano con la propria percepita incapacità di trovare relazioni sessuali o romantiche. I motivi? A loro dire, la genetica e, soprattutto, la società.
Oltre a reputarsi talmente poco attraenti da risultare indesiderabili agli occhi delle donne, gli Incel sono convinti che la struttura sociale favorisca queste ultime: con la progressione dei diritti e del femminismo moderno, la figura femminile avrebbe guadagnato il controllo sul mondo delle relazioni, concentrando le proprie attenzioni solo su una minoranza di uomini, ritenuti più affascinanti o di status elevato. Il resto dei ragazzi, tra cui gli incel, sono quindi costretti a scegliersi una partner tra le poche rimaste o a rimanere soli. Stanchi di subire una situazione che credono fuori dal loro controllo, gli incel riversano la propria frustrazione contro le donne, i meccanismi della società e persino verso gli uomini che le conquistano, i cosiddetti “chad”.
Tra le realtà più diffuse in tal senso c’è la cosiddetta Manosfera, una sottocultura che raccoglie tutte le possibili espressioni della misoginia moderna e che, purtroppo, fa da propulsore a fenomeni tutt’altro che virtuali, come violenze sessuali o femminicidi.
Pillola rossa, pillola blu o… nera?
Questa, infatti, non è solo una community, ma una vera e propria sottocultura con un linguaggio sviluppato ad hoc per rappresentare la loro visione della società. I termini chiave sono ispirati a una famosa scena del film Matrix, in cui il protagonista si trova di fronte decisione di apprendere una sconvolgente verità sul mondo in cui vive prendendo una pillola rossa o rimanere nella beata ignoranza con la pillola blu. Nei forum viene chiamato “redpillato” chiunque scelga la prima opzione per fare esperienza della realtà dei fatti, dove la cultura patriarcale non esiste e sono invece le donne ad avere il potere, approfittandosi degli uomini e manipolandoli. Chi invece crede ancora nelle relazioni sentimentali genuine è definito con disprezzo “bluepillato”, poiché ignaro del fatto che sarà solo sfruttato o rifiutato. Esiste anche una terza pillola, la “black pill”, che porta all’estremo questi ideali sostenendo che non esiste alcuna speranza di cambiare la propria condizione e che l’unica cosa possibile da fare sia “sdraiarsi e marcire”, oltre a incitare all’odio verso le vere colpevoli di tale situazione: le donne. Nei gruppi blackpill, la violenza dei discorsi che riguardano il genere femminile è estremamente preoccupante. Le donne sono viste come esseri inferiori, talvolta persino deumanizzati: vengono chiamate “Cumcettine” (crasi di termini molto volgari per trasmettere l’idea di donna come “buco da riempire” o “ninfomane”) o “NP”, acronimo per “non persone”. Non mancano le fantasie di vendetta, stupro o femminicidio o pensieri di autolesionismo o suicidio indotti dall’esasperazione nei confronti della società.
Tutto questo, come anticipato, rientra nella corrente più ampia della Manosfera, una contro-narrazione al femminismo accompagnata da una comunicazione machista, spesso di estrema destra. Inizialmente queste sottoculture operavano online in forum dedicati, ma stanno cominciando ad espandersi anche sui principali social network, dove la platea è nettamente superiore: su Instagram, X o TikTok compaiono decine di post o profili sul tema. Se contenuti così radicali e violenti diventano anche facilmente reperibili, si rischia di creare delle vere e proprie camere d’eco in cui odio e misoginia vengono amplificati, rischiando di radicarsi anche fuori dagli schermi. Per quanto i maschilisti esaltati che credono davvero a queste assurde teorie esistano, rappresentano una minoranza: il vero pericolo è che questi “guru” sfruttino le fragilità di giovani insicuri che muovono i primi passi nel mondo delle relazioni, spingendoli in un pozzo senza fondo di violenza fatto di pillole rosse o nere. A lanciare l’allarme è stata la serie Netflix Adolescence (già raccontata sul Ponte Giovani alcuni mesi fa), che ci invita ad agire in fretta: comprendere le basi di queste sottoculture è essenziale per mettersi all’ascolto dei più giovani e riconoscere i segnali di un disagio che può attecchire in silenzio. Solo così si possono sradicare sul nascere le “erbacce” che rischiano di compromettere il giardino intricato, ma pur sempre rigoglioso, delle relazioni sentimentali.
Giulia Cucchetti

