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Una Sagra ad ampio raggio

La Philharmonia Orchestra e il direttore Santtu Matias Rouvali - PH Gallini

Prima tranche di appuntamenti della 76ª edizione del festival riminese che proseguirà fino a dicembre 

RIMINI, 13 settembre 2025 – Dopo un prologo nell’ultima settimana di maggio dedicato ai giovani che frequentano le scuole di musica, la settantaseiesima Sagra Malatestiana ha intrapreso il suo lungo percorso all’insegna di una tradizione organistica, un tempo consueta, attraverso tre appuntamenti. Quello alla Chiesa dei Servi con Andrea Macinanti (organo), Leonardo Mariotto (violino), Costanza Battistella (violoncello) ed Eugenia Siberto (soprano) rappresentava un doveroso omaggio – nel centenario dalla morte – a Marco Enrico Bossi, compositore che in più di un’occasione ha suonato proprio sullo strumento di questa chiesa. Al Suffragio, invece, il bravissimo Alessio Corti si è cimentato in un Viaggio nel barocco organistico tedesco, dove ha fornito un saggio di una stagione d’oro, grazie alla straordinaria fioritura di autori: i nomi non si limitano ai notissimi Bach e Buxtehude, ma comprendono anche Muffat, Pachelbel (di quest’ultimo Corti ha eseguito la celeberrima Ciaccona in fa minore) e Walther, che di Bach peraltro era cugino. Terzo atto, il concerto di Paolo Accardi, anima di questa minirassegna, dal titolo esplicativo Fra Barocco e Romanticismo, stili diversi per muovere l’aria con intense emozioni.

Il direttore finlandese Santtu-Matias Rouvali – PH Andy Paradise

Inserito invece fra i progetti speciali, Lo specchio di Dioniso. Risonanze polifoniche erranti è frutto di una coproduzione tra il Galli e il Comunale di Ferrara. Raffinata e assai suggestiva l’idea di alternare tre madrigali di Luzzasco Luzzaschi (al servizio del Duca estense ) ad analoghe composizioni dei contemporanei Alberto Caprioli, Luigi Sammarchi e Claudio Ambrosini, facendoli precedere e concludere da due brani solo strumentali in forma antica, ma rivisitata da Ugo Nastrucci. A valorizzare le musiche hanno contribuito gli interpreti: l’ottimo ensemble strumentale formato da Vittoria Panato (violino), Françoise Renard (viola), Sara Campobasso (capace di alternare viola da gamba e flauto dolce con la massima disinvoltura), Danilo Costantini (cembalo), Matteo Ravolini (percussioni) e lo stesso Nastrucci (arciliuto e tiorba) in veste anche di concertatore. Parimenti importanti il contributo delle tre voci femminili: il mezzosoprano Monica Bacelli e i due soprani Valentina Coladonato e Laura Lanfranchi si sono inserite con naturalezza nel solco del leggendario «concerto delle dame» che animava la corte estense proprio negli anni di Luzzasco. Tutto questo mentre su un velatino scorrevano immagini con i dipinti di Dosso Dossi, pittore particolarmente legato alla città di Ferrara, e per completare l’impaginato – a cura di Guido Barbieri – si sono aggiunte tre giovani attrici della scuola Galante Garrone di Bologna, che hanno recitato testi poetici del Guarini e di un autore rimasto ignoto.

Senz’altro un bel concerto quello con cui si è inaugurato al Teatro Galli il ciclo sinfonico della Sagra. Avrebbe potuto essere addirittura magnifico, dato che l’Orchestra Philharmonia è tra i migliori insiemi strumentali di oggi, mentre il finlandese Santtu-Matias Rouvali (che dal 2021 ne è diventato direttore principale) e il pianista Bruce Liu (quattro anni fa vincitore del concorso Chopin di Varsavia) rappresentano quanto di meglio si possa desiderare. Eppure, all’ascolto, qualcosa non è andato per il verso giusto. Da alcune posizioni della platea non si sentivano i violoncelli, in altri punti della sala non si avvertiva il suono dei violini: a sovrastare erano sempre i fiati, seppure magnifici; o – quando interveniva – il pianoforte. In tal modo, la sensazione è stata di una certa limitatezza timbrica.
Di gran pregio, in ogni caso, la lettura del quasi quarantenne Rouvali. Oggi c’è una sbalorditiva generazione di bacchette finlandesi e in tale olimpo figura anche lui molto bene: direttore analitico, capace di lavorare di cesello sulle contrapposizioni ritmiche, come nel caso della suite L’uccello di fuoco e nello Šostakovič proposto come bis. E se il Secondo concerto di Čajkovskij – non altrettanto popolare del Primo – con la sua anomala articolazione dei tempi è comunque riuscito a catturare l’attenzione del pubblico, grazie anche al contributo del ventottenne pianista canadese, a deludere è stato soprattutto il Capriccio italiano. Questa pagina cajkovskijana non è apparsa trascinante come ci si sarebbe potuto attendere dalle sue reminiscenze popolari (c’è di mezzo anche una nota tarantella). Invece anche questa volta Rouvali ha privilegiato, qui forse fin troppo, eleganza e nitore.

È stato necessario trasferirsi a Sant’Agata Feltria, dove c’è uno splendido teatro intitolato ad Angelo Mariani, pioniere dei direttori d’orchestra, per un appuntamento con la musica antica. Portava come titolo Le smanie della villeggiatura, lo stesso dell’omonima commedia di Goldoni, il concerto incentrato su quelle musiche sacre e profane che le nobili famiglie commissionavano ai compositori gravitanti nella loro orbita: quasi sempre destinate all’intrattenimento domestico, in particolare nei periodi in cui si spostavano nelle dimore di villeggiatura e che implicano, inevitabilmente, organici ristretti. A proporlo la Cappella Musicale Villa Medici al completo: Sara Mazzanti, Marta Pacifici, Furio Zanasi (soprano, alto, basso), i due continuisti Maria Elena Ceccarelli al clavicembalo e Guido Morini all’organo, oltre a Riccardo Martinini, concertatore al violoncello. Molto ben impaginato, il programma prevedeva due cantate di Alessandro Scarlatti – nel terzo centenario dalla morte – proposte in prima esecuzione moderna; una cantata e un’aria di Händel, scritte durante il suo soggiorno romano; due brani di Angelo Berardi, anche lui nativo di Sant’Agata come Mariani, e noto quasi solo come trattatista, rivelatosi invece una piacevolissima scoperta. La sua cantata Il Giuditio universale, che concludeva la scaletta, è poi trascolorata senza soluzione di continuità in un finale a sorpresa e del tutto inaspettato: il Ballo delle ingrate, ‘madrigale rappresentativo’ di Monteverdi. E dopo aver ascoltato Scarlatti, Berardi e Händel resta la sensazione di quanto sia più appagante il seicento musicale rispetto al settecento.

La Sagra è poi andata ad intrecciare la sua programmazione con i festeggiamenti per il bicentenario del Lettimi. Il primo concerto di questa sinergia ha avuto per protagonista l’Orchestra del Conservatorio Maderna-Lettimi (questo il nome dell’istituto musicale riminese da quando, all’inizio del 2024, è abbinato a quello di Cesena), cui si sono aggiunti due cori e cinque solisti vocali, con Andrea Crastolla sul podio. Il programma è stato l’occasione per sentire delle rarità, a cominciare da Marc-Antoine Charpentier, compositore vissuto alla corte di Luigi XIV e noto soprattutto per quel rondò di apertura del Te Deum che era la sigla dell’Eurovisione. E proprio questa pagina, eseguita nella sua interezza, rappresentava il fulcro della serata. A precederla una Marcia di trionfo, sempre di Charpentier; una Sinfonia in re maggiore di Padre Martini, fra le rare occasioni di ascolto del maestro bolognese; una delle più conosciute cantate del tedesco Dietrich Buxtehude; e una composizione del 1939 di Ralph Vaughan Williams, basata sul canto popolare inglese Dive and Lazarus, per orchestra d’archi e arpa. Un programma di notevole impatto, impreziosito soprattutto dagli interventi solistici di alcuni orchestrali: dalla tromba alle percussioni, dall’organo all’arpa.

Giulia  Vannoni