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La missione non ha confini

Di ritorno da un viaggio di sette giorni in Venezuela, il Vescovo di Rimini mons. Nicolò Anselmi ha voluto condividere con ilPonte l’esperienza vissuta tra le comunità di La Guaira e Caracas. Lì, da qualche tempo, è tornato a prestare servizio pastorale don Aldo Fonti, sacerdote riminese che per oltre trent’anni porta il Vangelo tra le periferie di uno dei Paesi più fragili dell’America Latina.

Vescovo Nicolò, è stata la sua prima volta in Venezuela.

Perché ha scelto di andarci, nonostante la situazione delicata?

“Sì, era la mia prima volta in Venezuela. Devo dire che in molti ci avevano sconsigliato il viaggio: anche il sito della Farnesina segnalava condizioni di insicurezza. Ma ho scelto di andare perché lì c’è una traccia importante della nostra Chiesa di Rimini, portata avanti da don Aldo Fonti, da don Egidio e da don Gerardo, e anche da alcune suore della congregazione dell’Immacolata di don Masi.

Al mio arrivo a Rimini, don Aldo si era subito premurato di raccontarmi di questa significativa presenza riminese a La Guaira e a Caracas, e sentivo che il Signore volesse dirmi qualcosa attraverso la passione e l’impegno di questi testimoni del Vangelo”.

In quali luoghi è stato e come è stato accolto?

“Sono rimasto in Venezuela per sette giorni. Ho vissuto con don Aldo nel Seminario vescovile di La Guaira, dove risiede anche il vescovo Pablo Modesto. La città è un porto affacciato sull’oceano, con circa 500.000 abitanti, molti dei quali vivono in quartieri popolari e molto poveri che si arrampicano sulle colline dopo la fascia costiera.

Ho visitato diverse realtà: il barrio Montesano, dove don Aldo vive in mezzo alla gente, e le sue cappelle nelle zone di Canaima e Tropicana.

Abbiamo celebrato insieme nella grande parrocchia periferica di San Martino de Porres a Caracas, una zona davvero difficile. Ho incontrato anche il vescovo di Caracas, mons. Raúl Biord Castillo, che in precedenza guidava La Guaira.

Ovunque, grande accoglienza. Le persone ricordano con affetto e riconoscenza i missionari riminesi”.

Che tipo di Chiesa ha incontrato in Venezuela?

“Una Chiesa viva, piena di fede, ma affaticata. C’è una scarsità di sacerdoti molto evidente: a La Guaira, con circa 70 preti. Si tratta di una diocesi simile a quella di Rimini che però conta 120 sacerdoti diocesani. A Caracas, invece, una metropoli di 3,5 milioni di abitanti, ci sono solo 100 sacerdoti diocesani, aiutati da alcuni religiosi.

Molti sacerdoti si sono trasferiti o sono stati costretti a lasciare. Nonostante tutto, la fede è forte e le comunità sono attive. C’è anche una presenza crescente di comunità evangeliche. A Montesano, per esempio, non c’è un parroco stabile, e molte parrocchie sono «sine cura»”.

Parliamo invece del Venezuela, un Paese negli ultimi anni nell’occhio del ciclone. Che impressione ne ha ricavato?

“Un Paese segnato da profonde contraddizioni. Il governo è molto rigido: non permette il contraddittorio, e si contano oltre 2.000 oppositori politici incarcerati. C’è poca cura per la realtà sociale, e la conseguenza è tanto disagio, insicurezza e povertà.

Di sera non si esce: neppure il Vescovo di Caracas può visitare liberamente le parrocchie.

Quando lo fa, è sempre accompagnato da diverse auto e persone.

In diverse zone del paese l’elettricità è presente solo per diciotto ore, nelle restanti sei ore sistematicamente non c’è luce.

Una realtà difficile e complessa. Eppure, ho visto anche tanto impegno dal basso: gruppi di persone si sono organizzati per portare acqua potabile con tubature di gomma lunga 80 chilometri ( nella foto), che serve 400 famiglie per oltre 1000 persone. Una testimonianza concreta di speranza”.

Un volto, un episodio, un’immagine che le è rimasta impressa?

“Mi ha colpito la mancanza di turisti, segno di un Paese chiuso e affaticato. Non siamo nemmeno riusciti a trovare un negozio di souvenir a La Guaira.

Ho conosciuto un parroco che vive in un quartiere popolare costruito con palazzine di matrice russa, dove il governo ha edificato anche una chiesa. Ho incontrato bambini, donne, anziani: i giovani uomini spesso emigrano per cercare lavoro altrove.

Ho citato Cristoforo Colombo, anche perché sono genovese, ma ho percepito che l’idea non entusiasmava: gli europei sono ancora visti come colonizzatori. La figura di Simón Bolívar è invece molto sentita e rispettata: l’identità «bolivariana» – che unisce Venezuela, Colombia, Perù ed Ecuador – è ancora viva, così come il ricordo delle dominazioni spagnole. Nelle città si trovano ancora eleganti tracce architettoniche del periodo coloniale.

Mi ha commosso una frase che sentivo spesso: «Grazie alla Provvidenza che ci permette di avere sempre acqua in questa fonte». In mezzo alla povertà, una grande fede nel Signore che non abbandona”.

Come proseguirà l’esperienza di don Aldo Fonti?

“Insieme abbiamo celebrato, incontrato comunità e vissuto momenti profondi. Don Aldo vive con tre disabili in una casa semplice, ma piena di dignità. La missione riminese a suo tempo ha costruito un centro con asilo, refettorio,