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Il Caddy della provvidenza

La storia. La solidarietà ha preso la rincorsa dopo un articolo. E non si è più fermata

Per Luca Brancaccio, 18 anni appena compiuti, la nuova carrozzina doveva essere una conquista: più comoda, più agile, perfetta per muoversi con dignità. Quel piccolo lusso sembrava finalmente alla portata.

I medici avevano confermato che il modello prescritto era il più adatto ai suoi spostamenti. La famiglia aveva risparmiato, scelto con cura, investito nella speranza di alleggerire le fatiche quotidiane. Ma la realtà, a volte, sa essere crudele: la carrozzina non entrava nella station wagon con cui la famiglia – papà Marco, mamma Juliana e la piccola sorella Elisa – affrontava ogni spostamento. Ospedali, scuola, visite, semplici uscite: qualsiasi viaggio diventava un’impresa.

E più si comprava quel mezzo necessario, più cresceva l’urgenza di trovare una soluzione.

La risposta non è arrivata da una legge, ma da una persona: serviva un’auto attrezzata, un veicolo diverso. Dopo lunghe ricerche, la scelta è caduta su un Caddy: dimensioni giuste, pedana, spazio per manovrare la carrozzina con un minimo di autonomia. Era perfetto. Ma anche costoso. In casa lavorava solo il padre. L’Ausl non poteva intervenire. Il Caddy, attrezzato come necessario, restava fuori portata.

Fin qui, una storia di difficoltà.

Ma l’ordito della Provvidenza è spesso nascosto tra i gesti discreti. ilPonte, il nostro settimanale, si è sentito chiamato in causa. Ha deciso di raccontare questa storia, non per fare clamore, ma per testimoniare che anche in un tempo apparentemente distratto, la fraternità trova ancora voce e spazio.

E così, le parole sono diventate seme. Le pagine hanno fatto circolare la storia di Luca, toccando cuori. E i cuori hanno risposto con generosità. È cominciata una catena.

Verucchio ha fatto da apripista.

La parrocchia e alcune associazioni locali hanno organizzato cene e spettacoli teatrali per finanziare l’acquisto del mezzo. La famiglia ha lanciato una raccolta di solidarietà, ma il risultato era ancora lontano da quanto serviva.

Tifosissimo dei Villanova Tigers di basket ( nella foto piccola di Alfio Sgroi Fotografia e passione, Luca è con il capitano Giacomo Zannoni a sinistra e Michele Amadori a destra), colleziona autografi dei giocatori. Alla Tigers Arena e nelle piazze di Villa Verucchio, Luca sfoggia con orgoglio le tante maglie che la società ha deciso di regalargli, accompagnando il dono con una raccolta fondi.

Ma il vero elemento scatenante è stato l’articolo de ilPonte.

Sono iniziate ad arrivare buste da conoscenti e perfetti sconosciuti: un biglietto, qualche euro, un “coraggio” scritto con l’inchiostro della speranza.

Poi i gesti concreti: chi ha fatto un bonifico, chi è passato in redazione con un sorriso e una stretta di mano, chi ha fatto sapere al telefono: “Ci siamo anche noi”.

Mamma Juliana, con le mani tremanti, ha letto e custodito quei messaggi. “ Non ce lo aspettavamo”, ha detto, con gli occhi lucidi. Papà Marco ha appoggiato una mano sulla sua spalla, cercando conforto e offrendolo allo stesso tempo.

E Luca? Tra tante attenzioni, sorrideva, quasi incredulo.

“Per me?”, sembrava chiedere al mondo intero. Quando ha provato a parlare, la voce si è strozzata in un “grazie” sommesso, carico di meraviglia.

Poi è arrivata la telefonata decisiva. Dalla parrocchia di San Gaudenzo, una famiglia riminese ha detto: “ Copriamo noi la somma mancante”. Era proprio la cifra necessaria per chiudere l’acquisto del Caddy.

Senza proclami, senza riflettori: un gesto semplice e vero, capace di scaldare l’anima di un’intera comunità. Perché quando si dona con il cuore, la gioia cresce per tutti.

Il Caddy è ora uscito dal concessionario. Inizia “il nuovo viaggio” di Luca. Ora può andare a scuola, dagli amici, al mare, al centro estivo Supermed a Viserbella, Rimini nord. con più libertà e dignità. È un mezzo, certo, ma per lui è molto di più. Davide e Beatrice, i fratelli minori, applaudono.

La famiglia Brancaccio non dimenticherà mai le mani che li hanno aiutati, i cuori che si sono aperti. È una storia che parla di difficoltà, ma svela anche l’anima buona della nostra terra. Una storia in cui chi legge diventa testimone: delle proprie lacrime, del proprio coraggio, dell’invito a diventare seme di speranza.

I gesti, piccoli o grandi, hanno reso possibile questo sogno su quattro ruote. È la prova che nella condivisione, nel dono silenzioso, la comunità cresce.

Che, oltre ogni carrozzina e ogni ostacolo, camminiamo insieme. E camminiamo meglio.