Home Osservatorio Musicale Pittori da riscoprire

Pittori da riscoprire

Pittori Fiamminghi - PH Paolo Mazzoni

A Castell’Arquato l’opera di Antonio Smareglia Pittori fiamminghi allestita in forma di concerto 

CASTELL’ARQUATO, 12 luglio 2025 – È considerata forse l’opera più riuscita di Antonio Smareglia. Peccato che l’ultima esecuzione dei Pittori fiamminghi risalga ormai al 1991, anno in cui andò in scena al Verdi di Trieste, lo stesso teatro dove nel 1928 era avvenuta la première. E, nel frattempo, la damnatio memoriae nei confronti del compositore istriano è via via cresciuta.

Il tenore Marco Miglietta – PH Paolo Mazzoni

Quest’opera in tre atti, che Smareglia scrisse su un libretto di Luigi Illica, ha subíto nel tempo alcune trasformazioni. La prima stesura, intitolata Cornill Schut dal nome del protagonista, andò in scena a Praga nel 1893; in seguito, però, l’autore rimise mano alla partitura, approdando alla versione nota appunto come Pittori fiamminghi. Ed è quest’ultima ad essere andata in scena al Festival Illica: rassegna che – già da alcuni anni – ne esplora il lascito librettistico al di là della ben nota collaborazione con Puccini.
La sede è Castell’Arquato, splendido borgo medievale nel Piacentino che diede i natali all’illustre poeta, drammaturgo e polemista, mentre – per quanto attiene più specificamente alle esecuzioni musicali – la cornice è quella della suggestiva Piazza del Municipio: uno spazio che però rende problematico l’allestimento scenico, cosicché si è optato per la forma concertistica. Trattandosi di un’opera quasi sconosciuta, una simile scelta si rivela persino utile: in tal modo diventa più facile concentrarsi sulla musica, tenuto conto che quella di Smareglia induce a una dimensione sinfonico-vocale, più che operistica in senso stretto.

Tutto ruota attorno all’aspirazione, da parte del pittore fiammingo Cornill Schut, di raggiungere l’immortalità attraverso l’arte (forse una proiezione dei desiderata dello stesso Smareglia, piuttosto che del pragmatico Illica), anche a costo di sacrificare l’amore per la giovane Elisabetta: esplicita citazione, si direbbe, della protagonista femminile di Tannhäuser. Ma il grande capolavoro a lungo vagheggiato arriverà solo al calar del sipario, quando dipingerà una Madonna con le sembianze di Elisabetta, che però, nel frattempo, si è fatta monaca. E per Cornill, subito dopo, insieme al riconoscimento della propria arte arriverà pure la morte.

Se certe tematiche erano già state esplorate da Wagner (oltre al Tannhäuser sono evidenti gli echi dei Maestri cantori), a caratterizzare i Pittori fiamminghi è però l’affascinante gioco di specchi che s’innesca rispetto ad altre opere italiane nate durante la stessa temperie culturale wagnerista: Boito in primis. E gli esiti musicali sono comunque interessanti, perché il mitteleuropeo Smareglia aveva ben assimilato la lezione strumentale tedesca, seppure innestandola su una vocalità di segno italiano. Non riuscì forse sempre a configurare una propria cifra espressiva ben definita, ma l’opera presenta momenti davvero felici e piacevoli all’ascolto, a partire da quelli d’insieme.

Merito anche di un’esecuzione che ha saputo valorizzarne i pregi, a cominciare dalla concertazione di Jacopo Brusa – direttore artistico del festival – che ha affrontato la partitura con slancio e convinzione, traendo sonorità appaganti dall’Orchestra Filarmonica Italiana. Il maestro, inoltre, è riuscito a sostenere bene i sei interpreti, cui Smareglia affida compiti non semplici data l’ampiezza dell’organico strumentale su cui le voci devono galleggiare.
Tenore abituato ad affrontare – con ottimi esiti – ruoli da caratterista, Marco Miglietta si faceva carico qui del protagonista. Forse intimidito dal compito, ha talvolta aggredito l’emissione, salvo poi stabilizzarla gradualmente. Il soprano Clarissa Costanzo è stata un’Elisabetta sicura ed espressiva nel comunicare il suo amore, così come l’affetto filiale che la lega alla governante e la quieta rassegnazione nella scelta del monastero. Il secondo soprano, la meno fresca ma più solida Daria Masiero, ha reso Gertrud – antica fiamma del protagonista – con timbro sostanzioso e vocalità fluida. Nel ruolo dell’amico pittore Craesbecke, il baritono Francesco La Gattuta si è rivelato interprete inappuntabile, a tratti persino istrionico. Nei panni del vecchio maestro di Cornill, il basso Giacomo Pieracci è invece apparso un po’ sottodimensionato. Chiudeva il sestetto vocale, nella parte dell’amica-governante, il mezzosoprano Giovanna Lanza, cui spetta nel secondo atto una suggestiva aria interpretata con grande partecipazione emotiva.
Peccato invece che il Coro del Festival non fosse all’altezza della situazione, soprattutto per problemi di scarsa sincronia. In ogni caso, un’esperienza di ascolto molto appagante, che lascia il desiderio di rivedere quest’opera in forma scenica. Speriamo che, sull’onda di questo successo, qualche teatro pensi al suo allestimento.

Giulia  Vannoni