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Eroina dei due mondi

Il soprano Chiara Guerra, il direttore Marco Angius, il compositore Gilberto Cappelli, il baritono Alberto Petricca ©Luca Concas

Al Ravenna Festival Anita di Gilberto Cappelli, opera in un atto per orchestra, coro, soprano e baritono 

MANDRIOLE, 4 luglio 2025 – Non è stato solo fra i principali artefici dell’unità d’Italia, ma un personaggio entrato nella leggenda e che gode ovunque di grandissima popolarità. Del resto Garibaldi era disposto a lottare generosamente per quegli ideali di libertà in cui credeva – in Europa come in Sudamerica – che alimentarono la sua mitologia di «eroe dei due mondi». Un personaggio amatissimo nella Romagna repubblicana e anticlericale, come pure la moglie Anita: conosciuta giovanissima in Brasile (si chiamava Ana Maria Ribeiro) e sposata nel 1842.

L’immagine di Anita Garibaldi ©Luca Concas

Pur essendo stata rimossa dalla Storia, al pari di tante altre donne, Anita – così l’aveva ribattezzata il marito – possedeva qualità fuori del comune: non brillava, dunque, di sola luce riflessa, tanto che partecipò attivamente alle vicende risorgimentali italiane, mostrando coraggio in battaglia e propensione ad attività ritenute solo maschili. Stremata dalle fatiche e in attesa del quinto figlio, trovò la morte a soli ventotto anni (4 agosto 1849) a Mandriole, oggi frazione di Ravenna, nella fattoria Guiccioli, dove lei e il marito, in fuga dopo la vana difesa della seconda Repubblica Romana, avevano trovato ricovero.

Perfetta la scelta del Ravenna Festival d’includere nella programmazione un’opera dedicata a questa eroina italiana di adozione. E se un anno fa, quando Anita aveva inaugurato la stagione Lirica Sperimentale a Spoleto, era andata in scena in teatro, questa volta sede dello spettacolo è stata la grande aia antistante la fattoria (trasformata nel tempo in un piccolo memoriale garibaldino): spazio certamente suggestivo e dagli struggenti significati evocativi. In assenza di allestimento scenico, solo proiezioni sullo sfondo con le didascalie del libretto, in modo da lasciare alla musica sempre il primo piano.

Autore di quest’opera in un atto è un affermato compositore romagnolo – nato a Predappio nel 1952 – come Gilberto Cappelli, che si è avvalso di un libretto, articolato in un ‘prologo e otto scene’, di Raffaella Sintoni e Andrea Cappelli. Il testo non segue la cronologia ed è concepito come una sorta di visionario racconto che mette a fuoco alcuni episodi biografici della protagonista. L’aspetto più affascinante della narrazione sono i contorni quasi favolistici con cui la realtà viene spesso trasfigurata nel racconto, per assumere toni eroici, se non epici: una caratteristica della tradizione orale romagnola, che tende a dilatare la fonte narrativa in modo da ottenere il massimo coinvolgimento delle emozioni. Non a caso grande rilievo lo assume il coro, sorta di estensione onirica in grado di amplificare i sentimenti dei due protagonisti; e proprio al Coro del Popolo Romagnolo spetteranno le ultime battute, nell’epilogo successivo alla morte della protagonista.

La partitura punta sul carattere evocativo e sulle emozioni che il testo veicola. Fin dal prologo, nella scrittura vocale sono evidenti echi del tardo romanticismo, passato però attraverso un filtro espressionista. Il soprano Chiara Guerra si è adoperata per rendere la profonda forza emotiva di Anita, tratteggiata in modo potente dalla musica di Cappelli. Notevole l’impatto della seconda scena, in cui comunica la sua disperazione perché crede di aver perso l’uomo che ama, così come l’esultanza quando invece lo ritrova vivo. Anche nell’unica scena familiare, in cui culla il terzo figlio appena nato, la cantante riesce a dar forma a sfumature dolorosamente drammatiche, che raddoppiano quelle orchestrali. Un ruolo più defilato aveva invece il baritono Alberto Petricca, interprete di Garibaldi.

Alla guida dell’Orchestra Filarmonica Vittorio Calamani, proveniente da Orvieto, e del Coro del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto (preparato da Mauro Presazzi), l’esperto Marco Angius ha valorizzato l’incessante tensione drammatica che sfocerà nell’inesorabile precipizio finale. Il direttore è inoltre riuscito a rendere i contrasti dinamici strumentali – l’opera è concepita per un organico di diciotto elementi – avendo la meglio sull’amplificazione, che implica l’inevitabile tendenza a un livellamento dei suoni.

Giulia Vannoni