LA DENUNCIA. I DSA (Disturbi dell’apprendimento) possono rendere molto difficile il percorso scolastico di chi ne soffre. Soprattutto se gli istituti non rispettano le tutele previste dalla legge. La testimonianza di una madre riminese
Immagina di entrare in classe ogni mattina con la sensazione di dover scalare una montagna, senza gli strumenti adatti per farlo.
Leggere, scrivere, risolvere un problema di matematica: per molti studenti sono attività quotidiane, per altri – come chi possiede un DSA (Disturbo Specifico dell’Apprendimento) – una sfida continua. Questi ultimi, non sono alunni con un deficit cognitivo, il loro cervello elabora le informazioni in modo diverso, rendendo difficoltose attività come la lettura (dislessia), la scrittura (disortografia), i calcoli matematici (discalculia) o la grafia (disgrafia). Queste problematicità possono ostacolare il rendimento scolastico e abbassare l’autostima, soprattutto quando non vengono riconosciute e supportate adeguatamente. Nonostante la legge 170/2010 preveda strumenti compensativi e misure dispensative per garantire pari opportunità a questi studenti, spesso le scuole si dimostrano impreparate o restie a garantire l’applicazione effettiva di queste norme. Quanto è lontana l’Italia da una scuola che non lasci indietro nessuno?
Il caso riminese
Un caso emblematico è quello di un ragazzo con DSA e ADHD (Deficit di Attenzione e Iperattività) che frequenta il secondo anno di un Istituto Tecnico di Rimini, che chiameremo con un nome di fantasia: Giacomo. La madre, sconfortata, racconta che, nonostante la diagnosi dettagliata redatta dagli specialisti che sottolinea la necessità di strumenti compensativi, la scuola applica criteri arbitrari e restrittivi. “ Ravvedo una certa rigidità burocratica e una scarsa sensibilità da parte di alcuni docenti, i quali concedono a loro discrezione l’uso del computer o tablet nelle verifiche, e solo senza accesso ad internet: invece di vigilare preferiscono privare direttamente. Un comportamento paradossale e incoerente, dato che viene concesso l’uso del telefonino in classe” spiega.
Per sopperire a queste difficoltà, la famiglia ha dovuto acquistare a proprie spese una smart pen PEN EXAM READER-2, non collegata a internet, per consentire a Giacomo di leggere i testi, visto il rifiuto della scuola di permettere l’uso di software di sintesi vocale gratuiti.
“ Quest’anno, cambiando il dirigente scolastico, si sono ‘ammorbiditi’ e l’uso del computer è consentito nelle verifiche scritte di italiano, ma anche se per legge sarebbe d’obbligo, non si è ancora riusciti a ottenere la sintesi vocale nelle verifiche di comprensione del testo”, aggiunge la madre.
Ancora poca consapevolezza
Il problema principale sembra essere la scarsa comprensione della natura dei DSA da parte di alcuni docenti. L’uso della calcolatrice, delle mappe concettuali o dei formulari viene visto come una facilitazione anziché come un necessario supporto per compensare le difficoltà legate alla memoria e alla rielaborazione delle informazioni.
“ Lo strumento compensativo che serve al ragazzo per essere pari agli altri viene erroneamente visto come una facilitazione. Anche gli occhiali sono uno strumento compensativo: se vengono tolti, la persona non riesce ad effettuare una corretta esecuzione del compito assegnato, basterebbe solo che gli insegnanti usassero il buon senso”, sottolinea la madre.
Le difficoltà non si fermano all’aula.
Un momento particolarmente critico per le famiglie è la stesura del Piano Didattico Personalizzato (PDP), che dovrebbe formalizzare le misure compensative e dispensative necessarie per lo studente. Spesso, però, il Consiglio di Classe limita l’inserimento di questi strumenti per paura di ricorsi e responsabilità, scaricando sulle famiglie il compito di garantire un supporto adeguato. “ Sono sconfortata da questi atteggiamenti di superiorità e di abuso di potere. Un Consiglio di Classe non può dettare legge e decidere in modo assoluto delle strategie che si scontrino sia con una diagnosi di un medico sia con la legge 170 che tutela i DSA. – denuncia la mamma di Giacomo – Per di più, recentemente, ci siamo dovuti rivolgere nuovamente all’Ausl per la revisione della diagnosi e per la riconferma dell’ADHD. A queste riconferme, si è aggiunta una ulteriore nuova diagnosi, quella di sindrome ansioso-depressiva. Giacomo ha un’autostima molto bassa e non viene aiutato nei compiti assegnati… non riesce a svolgerli in autonomia.
Siamo noi come famiglia, che a casa abbiamo assunto a nostre spese una psicologa specializzata nel disturbo dell’apprendimento, che aiuta mio figlio nel metodo di studio e nel potenziamento assieme ad altre due insegnanti private, una di italiano e una di fisica e matematica. Oltre a questo, ci accompagna anche in alcuni colloqui critici con i professori o i dirigenti scolastici”.
Quale inclusività?
Questa situazione solleva interrogativi importanti sull’effettiva inclusività nelle scuole italiane. Le promesse fatte durante gli open day ai futuri studenti sembrano svanire di fronte a una gestione burocratica che ignora le reali necessità degli alunni con DSA. Il diritto allo studio, sancito dall’articolo 34 della Costituzione, sembra ancora lontano dall’essere realmente garantito per tutti.
Le famiglie si trovano quindi sole a combattere per i diritti dei propri figli, spesso sostenendo ingenti spese per supporti specialistici privati.
L’appello che emerge dalla storia di Giacomo è chiaro: le scuole devono essere più consapevoli e responsabili nell’attuazione delle normative, evitando di trasformare il percorso scolastico di un ragazzo con DSA in un incubo burocratico e psicologico.
Come ha detto il professor Vincenzo Schettini, noto divulgatore scientifico e lui stesso DSA, citando Einstein: “ Ognuno è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la vita a credersi stupido”.
È tempo che il sistema scolastico inizi davvero a riconoscere e valorizzare il potenziale di tutti gli studenti, senza lasciare indietro nessuno.

