Era il 1° novembre 1943 quando dal cielo di Rimini caddero le prime bombe di una serie di ondate che per tutto il corso del 1944 bersagliarono la città. La Seconda Guerra Mondiale entrava nel proprio biennio finale, e gli Alleati, intenti a risalire la penisola per liberarla dall’occupazione nazifascista, sganciarono ordigni in gran parte delle località italiane. Rimini fu colpita in maniera particolarmente aspra anche in virtù della propria posizione geografica, all’estremo orientale della Linea Gotica, e venne ridotta a un cumulo di macerie. Il centro storico fu devastato, così come la maggior parte dei monumenti che oggi sono simbolo della città: il Tempio Malatestiano, la Rocca, il Teatro Comunale; fortunate eccezioni furono il Ponte di Tiberio e l’Arco d’Augusto, che rimasero in piedi miracolosamente nonostante i bombardamenti. Furono tempi duri di distruzione e di dolore per la città, che si protrassero fino al 21 settembre 1944, data della Liberazione da parte delle truppe alleate, di cui quest’anno ricorre l’80° anniversario; tempi duri che, nel 1962, valsero a Rimini la Medaglia d’Oro al Valor Civile, come riconoscimento dei sacrifici cui la città aveva coraggiosamente fatto fronte in tempo di guerra e di ricostruzione.
Ormai ottant’anni, dunque, sono trascorsi da quei tragici eventi del secondo conflitto mondiale in cui Rimini si trovò coinvolta, e in occasione di questa ricorrenza ci siamo chiesti: quanto i giovani di oggi sono a conoscenza di tutto ciò? Il ricordo è stato trasmesso di generazione in generazione, oppure le conoscenze su una tappa fondamentale della nostra città che ha segnato radicalmente le sorti della storia stanno gradualmente andando perdute con il passare delle generazioni? Abbiamo intervistato Francesco e Sofia, 20enne e 18enne riminesi, per capire quale sia il rapporto di alcuni giovani di questa generazione con la memoria storica del territorio.
Per Francesco, il collegamento tra Rimini e la Seconda Guerra Mondiale è automatico pensando alla Linea Gotica: “ A scuola Rimini viene sempre citata quando si parla del processo di liberazione dell’Italia. Tuttavia di solito non si affrontano particolari approfondimenti al riguardo, ci si limita a nominarla senza scendere più nel dettaglio. Quello che conosco riguardo ai bombardamenti e alla guerra a Rimini è dovuto a qualche racconto di famiglia, giunto purtroppo in maniera estremamente frammentata, anche perché, da quanto mi è stato riferito, le memorie di quei tempi di guerra venivano rievocate raramente e malvolentieri, da parte soprattutto dei miei bisnonni.
Durante i bombardamenti la mia bisnonna che, secondo quel che so, abitava a Rimini ma in una zona più di campagna, si è rifugiata a San Marino con mio nonno ancora piccolo, ma onestamente non ho idea di come la famiglia abbia affrontato gli anni immediatamente dopo la fine del conflitto, né di quanti danni materiali abbiano potuto risentire le loro proprietà in particolare”.
Venendo a sapere che Rimini ha ricevuto la Medaglia d’oro al Valor Civile, Francesco è sorpreso: “ Sinceramente non ne sapevo nulla”.
“ Penso che in generale quasi tutti abbiano sentito parlare dei bombardamenti su Rimini. – racconta Sofia – Quando per esempio si parla del Ponte di Tiberio, lo si descrive sempre come un ponte bimillenario resistito miracolosamente anche alle bombe. Oltretutto esistono fotografie della città distrutta, tra le più celebri scattate a quei tempi c’è quella del carro armato davanti all’Arco d’Augusto. E a pensarci bene, qualche segno del passaggio della guerra nella nostra città perdura: mi viene in mente piazza Tre Martiri, il cui nome è estremamente simbolico e si rifà all’impiccagione in quella stessa piazza di tre partigiani da parte dei soldati tedeschi. Tuttavia credo onestamente che la maggior parte delle nuove generazioni abbia una conoscenza piuttosto sommaria e superficiale di tutti questi eventi e sì, magari sa che il ponte di Tiberio è rimasto in piedi nonostante i bombardamenti, ma nel vedere un’immagine della città distrutta o nel venire a sapere degli ingentissimi danni subiti dal Tempio Malatestiano rimarrebbe inaspettatamente sorpresa. Una superficialità forse figlia anche di un generale slancio della nostra epoca, molto più proiettata verso il futuro che verso il passato, e che in certe occasioni rischia di perdere il contatto con il proprio vissuto, le proprie radici, annacquando di fatto la propria identità. Oltretutto le ultime generazioni e quelle dei prossimi anni saranno le prime per le quali verrà a mancare l’anello della testimonianza diretta: oramai coloro che hanno assistito agli avvenimenti della guerra stanno invecchiando, e presto il compito di tramandare queste vicende passerà a coloro ne hanno solo sentito i racconti. Ci si dovrà prendere la premura di non lasciar cadere nell’oblio storie di famiglia, storie di guerra, storie che perlomeno all’apparenza potrebbero non riguardarci più, ma che in realtà ci appartengono eccome, in quanto pietre miliari del nostro passato e il fondamento di tutte le vicende sociali che ci hanno portato, al giorno d’oggi, a poter dire di essere quello che siamo”.
Andrea Pasini