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Un pigro pomeriggio d’azzardo in stazione

Al viaggiatore stanco che torna dopo un lungo peregrinare e il riminese che parte per esplorare lidi lontani possono entrambi usufruire di un nuovo servizio presso la stazione ferroviaria di Rimini: la sala New Slot & Videolottery.
Il passante distratto la nota, dall’esterno, nel punto in cui si fermano i taxi. Lì, dietro grandi vetrate scure, si trovano le sale da gioco. C’è chi ci passa davanti e lancia uno sguardo incuriosito, magari entra, dà un’occhiata, fa quattro passi ed esce. Altri la puntano sicuri, si siedono di fronte ad una macchina e cominciano a giocare.
All’interno, illuminate da luci soffuse e bluastre, prendono posto due sale: una più grande, con lunghe file di macchine allineate lungo le pareti e il bancone dietro cui si trova il guardiano preposto a controllare l’età dei giocatori. Separata da un’altra parete di vetro scuro, c’è la zona fumatori, che può ospitare fino a 19 persone.

Varcata la soglia… In un pigro pomeriggio estivo di luglio ci sono 4 persone che giocano. Il ragazzo dietro il bancone legge un libro. Alza appena la testa quando entra qualcuno e poi ritorna alle sue letture. Qualcuno entra, si siede, infila una moneta e comincia a tartassare la video slot machine. Un signore gioca nella sala fumatori, che, oltre ad essere isolata dal resto dell’ambiente, è anche insonorizzata. Lo si vede armeggiare ma non si sente nulla.
“Se entra un ragazzo e si infila nella sala fumatori, protetta dal vetro, può succedere che nessuno lo veda, e che passi tutto il tempo che vuole, indisturbato a giocare”, dice Mario, nome fittizio del nostro accompagnatore, ex gestore di sale giochi che ha cambiato lavoro con l’avvento delle VLT, le videolottery, perché non voleva fare il delinquente, come dice lui.

Ieri e oggi. Cosa è cambiato negli ultimi anni tanto da portare una persona ad abbandonare il proprio lavoro?
“Le cose sono cambiate dal 2001, con due appositi decreti legge. Fino a prima le video slot erano un passatempo. Magari discutibile, ma un passatempo. Le vincite erano in gettoni che potevano essere riutilizzati. Le macchine erano calibrate in modo da restituire il 76% di quello che ricevevano indietro al giocatore che passava così parecchio tempo a giocare”.
In pratica, se un avventore decideva di spendere 10mila lire – siamo ancora in anni pre euro – per giocare, alla fine della giocata aveva ottenuto indietro l’equivalente di 7.600 lire in gettoni. A quel punto continuava a giocare e perdeva un altro 24% del nuovo totale (si ricordi che la macchina era programmata per riproporre in vincita il 76%), trovandosi così a fine partita con 5.750 lire circa, e così via. Il fatto di non ricevere soldi, ma gettoni, costringeva il giocatore a continuare a giocare trasformando di fatto il gioco in un passatempo e non in un azzardo. Chi giocava lo faceva sapendo che avrebbe speso 10mila lire senza ottenere nulla indietro se non un po’ di intrattenimento ludico.
Infatti, in quegli anni, nelle sale giochi si alternavano video slot di quel tipo ai classici giochi da bar, poi scomparsi a causa dell’avvento delle consolle casalinghe. Insomma: le sale giochi assomigliavano più ad un luogo in cui perdere un po’ di tempo più che ad una sala bische.

Dai gettoni ai soldi. “Nel 2001 – continua Mario – il governo allora in carica propose e varò due modifiche. Da quel momento, con la prima, la macchina dà, come vincita, soldi e non più gettoni. La seconda è invece lo sdoganamento del gioco d’azzardo: le video slot ora accettano direttamente soldi, non c’è più bisogno di cambiare in gettoni. Sono delle vere e proprie macchine da casinò: si inseriscono soldi e, se si vince, si ricevono soldi”.
Questo cambia i fattori del gioco. “Il tempo di gioco non è più dipendente dalla somma inserita, ma si può continuare a giocare finché si hanno soldi. E in poco tempo scatta il tipico meccanismo del giocatore: più investe e più continua ad investire per non perdere i soldi già puntati, nella speranza di vincere”.
Ma c’è un altro fattore in questa equazione poco chiara: con il secondo decreto, lo Stato decide di dare vita ad un ente garante che dovrebbe controllare il corretto svolgimento dei giochi attraverso una rete a cui tutte le macchine sono collegate. Questo è il famoso gestore. Nell’era post-decreto, la percentuale di restituzione della somma giocata passa al 66%. Il rimanente 34 viene diviso tra l’erario: il 18%, il gestore di rete, 4%, e il restante 12% tra il noleggiatore delle macchine e il proprietario del locale.
Il problema è che il gestore, ad oggi, non ha pagato allo stato i soldi dovuti. Il 18% di quanto dovuto all’erario, infatti, lo raccoglie proprio il gestore. Secondo le stime sono più di 98 miliardi i soldi che il gestore deve allo Stato: una piccola finanziaria. E sono soldi sottratti due volte ai cittadini: la prima volta per il gioco, la seconda come mancate entrate dell’erario.

Stefano Rossini