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Smentire i luoghi comuni

Una scena di PASSION - Ph Michele Vino

Al Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano in prima italiana Passion il musical di Stephen Sondheim ispirato al film di Scola   

MONTEPULCIANO, 13 luglio 2019 – Classificato come musical, la definizione non gli rende giustizia. Passion di Stephen Sondheim (noto anche per esser stato librettista di West Side Story per Bernstein) non ha, infatti, niente da invidiare a una vera e propria opera. Cominciando dalla problematica protagonista, in cui è facile rintracciare tratti comuni alle tante eroine del melodramma, soprattutto a quelle che hanno caratterizzato la stagione del decadentismo. Sul piano musicale si possono cogliere, poi, innumerevoli citazioni operistiche, seppure fatte con estrema leggerezza, con la mano di chi ha pienamente metabolizzato il grande repertorio. Del suo, inoltre, lo spettacolo visto al Teatro Poliziano per il Cantiere Internazionale d’Arte – ed è un grande merito della regia di Keith Warner e dell’esecuzione – contribuisce a valorizzare questa trama di collegamenti, in modo da far emergere ogni possibile parentela.

Sondheim, che si avvale pure del contributo librettistico di James Lapine, si è ispirato a Fosca, romanzo lasciato incompiuto da Igino Ugo Tarchetti, anche se – in realtà – sembra guardare più al film che ne trasse Ettore Scola, Passione d’amore. Nonostante questa duplice paternità italiana, curiosamente, dal suo debutto – avvenuto nel 1994 e coronato dall’immancabile successo sui palcoscenici di Broadway – Passion non era mai andato in scena prima d’ora nel nostro paese: con questa première ancora una volta il Cantiere coglie l’occasione per ribadire il suo impegno innovativo e l’insostituibile ruolo nella diffusione delle rarità.

Philip Smith e Janie Dee in PASSION – Ph Michele Vino

Lo spettacolo di Warner – che a Montepulciano già firmò un indimenticabile Albert Herring di Britten – mette ben a fuoco la personalità della protagonista. Senza tener conto delle numerose indicazioni del libretto che pongono l’accento sul suo aspetto sgradevole, la raffigura come una donna un po’ sfiorita ma ancora avvenente – tale, del resto, doveva apparire a Giorgio, che un po’ alla volta cade nella sua rete – e, unico tratto in grado di sottolinearne la diversità, in palcoscenico è la sola interprete a essere amplificata. Grazie al contributo di Ashley Martin-Davis, che costruisce una scena essenziale, ma non per questo meno efficace nel disegnare i diversi ambienti (è il caso del treno, reso con delle semplici sedie), e ai bei costumi ottocenteschi di Tom Rand, lo spettacolo è molto bello da vedere.

A renderlo scorrevole e godibilissimo da seguire contribuiscono poi, in maniera determinante, la bravura degli interpreti e la direzione musicale. L’ottima cantante-attrice Janie Dee, protagonista, ha costruito una convincente Fosca, querula e manipolatrice, che riesce a strappare Giorgio alla bella e giovane amante, conquistandolo con la sua ossessiva insistenza e i ricatti emotivi. fino ad annullarne la volontà. A interpretare l’oggetto delle sue maniacali attenzioni è stato il baritono Philip Smith, bravissimo nel rendere la trasformazione del personaggio: sempre più traballante nelle sue certezze di militare e di devoto innamorato fino al ripiegamento che lo porterà a soccombere di fronte alla volontà di Fosca. Nei panni della giovane e avvenente Clara, via via più spaesata di fronte all’allontanamento del suo amante, il soprano Anna Gillingham ha sfoderato buone risorse vocali. Un ruolo fondamentale nell’influenzare le sorti della vicenda ce l’ha il dottor Tambourri (di cui la regia sottolinea lo stesso cinico distacco che caratterizza il medico del Wozzeck), interpretato dall’ottimo attore Eric Roberts. Tra i personaggi di contorno vanno segnalati il colonnello Ricci, ossia il tenore Michael Kristensen, e nel piccolo ruolo della madre di Fosca il mezzosoprano Verena Gunz, anche protagonista il giorno successivo di un applauditissimo recital (a Palazzo Ricci, accompagnata al pianoforte da Andreas Teufel), Cabaret Songs, che da Schönberg spaziava fino a Sondheim passando per Eisler e Weill.

Ben assecondato dal Passion Ensemble (dove le tastiere hanno un ruolo fondamentale), Roland Böer ha tratto sonorità nitide e precise dai giovani strumentisti, privilegiando la cantabilità di una musica molto accattivante. In una lettura sempre piacevole e scorrevolissima.

Giulia Vannoni