Home Ultimaora Quella volta che sbagliai il rigore…

Quella volta che sbagliai il rigore…

Ha 54 anni ed è prete da 24. Si chiama Francesco, ma lo abbiamo sempre chiamato Franco: Franco di nome e di fatto. Oggi è parroco all’Alba di Riccione, parrocchia di Gesù Redentore; prima era stato viceparroco a San Lorenzino, nella stessa città.
Il suo cognome, Mastrolonardo, ci suggerisce un’origine non specificamente romagnola.
“ìn effetti sono originario della Puglia, di Bari, anche se sono venuto a Rimini che avevo appena un anno. La Puglia mi manca un po’, o meglio mi manca la vicinanza e il calore dei miei parenti. Qui a Rimini ho solo, ma non è poco, la mia famiglia”.

Conti alla mano, sei diventato prete a 30 anni; prima cosa hai fatto?
“Ho studiato ragioneria … era la qualifica più utile per portare avanti la piccola impresa di mio padre. Ma per la verità non era quella la mia passione”.

Qual era invece?
“La prima passione da ragazzo è stato il calcio, quello giocato e quello tifato. Facevo parte della squadra dei Delfini del Rimini e del gruppo degli ultras … Il mondo degli ultras mi affascinava, lo vedevo quasi come un ambiente profetico, non nella dimensione violenta di oggi, ma per la sua fede appassionata. Cercavo sempre di trovare un orientamento più chiaro e specifico di questa passione, fino a quando, a Piacenza, in uno scontro di tifoseria, non ho preso un sacco di botte. Da qui, sollecitato anche dai miei genitori, ho lasciato perdere il calcio, o, per meglio dire, ho cambiato orientamento: mi sono messo ad allenare i gruppi di ragazzini. Ho fatto anche corsi specifici per allenatore con Arrigo Sacchi”.

E fuori dal calcio agonistico come vivevi la tua vita di giovane?
“Fino a 18 anni ho diviso la mia vita fra il calcio nel Rimini e il calcio del campetto della Stazione. Poi, sempre per il calcio, mi sono avvicinato alla parrocchia S. Nicolò, perché don Fabio ci aveva concesso un campo per giocare. Da qui poi la mia predilezione per i giovani lontani dalla parrocchia, perché, in qualche modo, rivivo con loro la mia stessa esperienza”.

E la scuola?
“La scuola non andava troppo bene. Non era il genere di studi che potesse appassionarmi. In IV ragioneria sono stato anche bocciato e all’esame di maturità sono stato ammesso per grazia ricevuta”.

Che cosa ha provocato e quando è avvenuta la svolta della tua vita?
“Non c’è un momento specifico, ma tanti avvenimenti che hanno concorso ad un ripensamento globale della mia vita. Sicuramente uno scossone me l’ha dato la bocciatura in IV superiore; sicuramente ho vissuto come una sconfitta personale il rigore sbagliato nella partita decisiva col S. Marino; sicuramente ha cambiato le mie abitudini il servizio militare. La sensibilità al tema religioso è andata timidamente nascendo attraverso incontri e vicende assolutamente casuali. Quando frequentavo di scapuzzo la parrocchia di S. Nicolò (per il campetto, non per la messa), il viceparroco, don Marco Guidi, propose a un gruppetto di noi un viaggio in Francia. Naturalmente lui, prete, diceva messa, ma si scandalizzava perché noi non sapevamo neanche rispondere un amen”.

E del servizio militare cosa puoi dire?
“Il servizio militare, prima a Macerata, poi a Forlì, mi ha fatto rivedere molto della mia vita: non più gli amici di sempre, non più la discoteca al sabato sera… Un giorno poi il cappellano militare mi ha chiamato a leggere nella messa: era la prima volta che leggevo la Parola di Dio, e anche questo semplice momento ha provocato un sussulto in me. Ancora, quando ero militare, un frate mi regalò una corona del rosario: non avevo mai visto e usato uno strumento simile, finché un amico, un giovane di Comunione e Liberazione, ha cominciato a spiegarmi i misteri che accompagnavano la recita dell’Ave Maria. Forse è strano da dirsi per un giovane, ma io ho pian piano scoperto il valore della preghiera col Rosario”.

In poche parole il servizio militare ti ha convertito.
“Di strada ce n’era ancora molta da fare. Terminato il militare ho cominciato a frequentare don Marco e a porgli tutti i miei interrogativi di fede. Intanto però avevo ripreso la mia passione per il calcio e allenavo il San Giuliano. I ragazzi della squadra erano la mia passione e la mia preoccupazione. Ricordo in particolare due fratellini: c’era qualcosa in loro che non andava, e la preoccupazione per loro mi teneva sveglio intere nottate. In seguito, dover lasciare i ragazzi della squadra, è stata la cosa più dolorosa, ma loro sono stati anche la mia ispirazione”.

E in Seminario come ci sei finito?
“Neanche sapevo che esistesse un Seminario, tanto meno a cosa servisse. Con don Marco avevo cominciato a leggere San Francesco e chissà che lui non potesse indicarmi una via di vita. Poi, quando ho incontrato un frate che fumava, ho subito lasciato perdere l’idea. Nell’86, non so perché, con don Marco sono capitato in Seminario mentre un gruppo di giovani stava pregando. Mi sono seduto accanto a uno di questi giovani, un capellone riccioluto, e mi sono subito sentito a casa. Così nel settembre dell’87 sono entrato in Seminario”.

Di quel che hai fatto come prete non è il caso di parlarne, ma certamente due parole sul Punto Giovane le dobbiamo spendere, dal momento che tu ne sei il fondatore.
“Macché fondatore! I veri fondatori sono stati i giovani che si sono buttati anima e corpo in questa avventura. A dire la verità, ancora oggi, a distanza di 20 anni, non ho capito come ha potuto nascere il Punto Giovane. Io riconosco di avere, a volte, delle intuizioni buone, ma non mi sento capace di organizzarle e portarle avanti. Insieme ai giovani della parrocchia però, abbiamo impostato la cosa con lo stile della condivisione della vita quotidiana, in un clima di famiglia: poche persone disposte a condividere tutti gli aspetti della vita, dallo studio al lavoro, dalla mensa comune ai lavori domestici, dal riposo allo svago … Secondo noi, e mi sembra questa la buona intuizione, i giovani oggi hanno bisogno di casa, cioè di ambiente familiare, di relazioni fra persone che si vogliono bene. Tanti giovani hanno bisogno certamente di educatori, ma anche di fratelli che li aiutino a vivere l’ordinarietà della vita”.

Mi risulta anche che sei un appassionato delle tecnologie moderne, di computer e di internet. Come possono servirti nella tua vita di prete?
“Mi sono appassionato a tutto il mondo della tecnologia quando mi sono accorto che stava diventando il linguaggio più comune e utilizzato dai giovani e dalla gente in genere. Quando poi mi sono accorto che poteva diventare anche uno strumento utile per la preghiera e per comunicare il Vangelo, allora ho costruito l’<+cors>APP Pregaudio<+testo_band>. Oggi sono circa 20mila gli utenti che hanno scaricato l’APP e circa 2mila quelli che quotidianamente seguono la preghiera e la riflessione sul Vangelo del giorno. Forse qualcuno trova strano che si possa pregare la liturgia delle ore su un tablet, ma credo che si equivalga più o meno alla rivoluzione operata dai Gesuiti quando hanno portato la liturgia delle ore fuori dal coro dei conventi”.

Permettimi un’ultima domanda: come ti trovi a Riccione?
“La cosa più bella che vivo è la condivisione di vita e di lavoro pastorale con don Valerio e don, Marco, nella casa di Mater Admirabilis. Non nascondo che i primi anni qui all’Alba mi sono costati un po’ di fatica, non tanto per i parrocchiani residenti, quanto per il doppio ritmo di vita estate-inverno. Adesso ho cominciato a sentire che è bello anche avere parrocchiani nuovi ogni dieci, quindici giorni”.

Egidio Brigliadori