Home Attualita Quei software… responsabili. “Lascio l’azienda ai miei figli”

Quei software… responsabili. “Lascio l’azienda ai miei figli”

mariotti

Pianificare il futuro è un obbligo per chi gestisce un’impresa. “Lo è soprattutto per me e gli altri amministratori di Bluenext perché sentiamo forte la responsabilità per i ragazzi e le ragazze che lavorano per noi, e per le loro famiglie”. Parola del Presidente della più grande e innovativa azienda informatica riminese, Bonfiglio Mariotti (nella foto sopra, con il sindaco Andrea Gnassi e il Presidente del Meeting per l’Amicizia fra i popoli, Emilia Guarnieri durante l’inaugurazione della nuova sede dell’azienda, in zona Celle).

Mariotti, cominciamo dai numeri di Bluenext.
“Il piano strategico 2018-2021 è già stato approvato dal CDA a fine giugno e prevede alcuni milioni di investimenti. Il bilancio semestrale 2017 ci ha confermato un +10% in soli 6 mesi rispetto al fatturato dell’intero 2016. I clienti sono in aumento a 15.000 unità”.

Come pianificate il futuro dell’azienda?
“Sappiamo già ora quali saranno gli utili a fine 2017 (+30% sul 2016) e quali flussi di cassa avremo per realizzare gli investimenti già programmati con il piano strategico, comprese le nuove assunzioni necessarie. Tutto questo è frutto di preparazione e di un puntuale controllo di gestione, assicurato da Giacomo Mariotti, CFO (Responsabile Finanza e Controllo), primo ingresso in azienda della seconda generazione della famiglia”.

L’informatica era già nel suo Dna?
“Tutt’altro. Il mio è stato un percorso non programmato. Studiare al liceo classico Giulio Cesare e iniziare gli studi di giurisprudenza era frutto di amore per la scoperta interiore e delle fonti della nostra civiltà, presupposto per comprendere il futuro. Mia madre, scomparsa l’anno della mia maturità, mi diceva sempre che lo studio avrebbe permesso la mia crescita come persona, tutto il resto sarebbe venuto da solo. Durante la mia vita professionale, iniziata nella tipografia Modulsnap di Coriano fondata da mio fratello, ho scoperto che l’informatica era uno strumento necessario e potente per il mio lavoro e per la vita di tutti i giorni. Direi quindi che è solo strumentale, non amo l’informatica anche se la capisco e la apprezzo”.

Pensa che la tecnologia stia correndo più in fretta del nostro grado di preparazione culturale come imprese e come utenti?
“Ormai nessuna attività può esser gestita senza l’ausilio di un computer e di un software. Troppe persone però ne sono coinvolte in modo superficiale ma quasi come una dipendenza (basta guardare 4 persone sedute da qualche parte e tutte che consultano, chattano, parlano con il proprio cellulare) senza capirne invece l’enorme utilità nella gestione della propria professione o impresa. Sì, è un vero gap culturale”.

È vero che con la sua azienda vorrebbe allargarsi ancora?
“Ce lo impone il mercato per vincere sui nostri competitor e me lo impone la logica di un passaggio generazionale. Sto già programmando con lo Studio Ambrosetti di Milano il passaggio dell’azienda ai miei tre figli che avverrà al più tardi nel 2019”.

Ci parli di loro…
“Giacomo, il più grande, diplomato al Giulio Cesare, laurea in Matematica all’Università di Pisa e laurea magistrale alla Bocconi, è già un pilastro della nostra azienda. Matteo dopo il triennio in Economia alla Bocconi, finirà il biennio in Marketing alla Statale di Milano, un anno di prestito in un’azienda all’estero ed entrerà in Bluenext. Allegra, dopo il diploma al liceo Classico,ha seguito la sua grande passione e frequenta il primo anno all’Accademia di Belle Arti di Brera, è ancora tanto giovane, ma diventerà anch’ella proprietaria delle quote azionarie della Holding di famiglia al pari dei suoi fratelli e alla fine del percorso scolastico deciderà la sua strada professionale”.

Un bel salto. Lascia a loro anche la gestione?
“No, ne manterrò la supervisione, attraverso e insieme al CdA di cui fa parte anche Giacomo, ma penso sia fondamentale far capire ai propri figli la responsabilità di ciò che hanno e che devono riguadagnare per possederlo. Se tutto resta in mano ai genitori, non cresceranno mai con forza nel proseguire e migliorare la storia aziendale”.

Da padre, che voto si darebbe?
“Brutta domanda. Ma l’unità della famiglia la considero una grande vittoria, non solo mia, soprattutto di mia moglie Fiorella che ha lasciato la professione forense per noi”.

Quanto è importante per un imprenditore il legame con il territorio?
“Se dovessi pensare ai vantaggi che arrivano ad un’azienda come la nostra in un territorio come Rimini, direi veramente pochi. Le Amministrazioni Comunali e chi gestisce politicamente le varie categorie economiche rimangono appiattiti sul turismo mentre il vero valore aggiunto per le famiglie riminesi viene dagli stipendi pagati dalle industrie manifatturiere e dei servizi come la nostra. Un nostro dipendente “vale” 13/14 mensilità a tempo indeterminato in fatto di stipendio, uno del turismo, se va bene, 3 o 4. Però sono orgogliosamente legato alla mia terra e alla mia città, nonostante i bastoni fra le ruote della burocrazia comunale, al di la della buona volontà del Sindaco. Anche nel 2017 abbiamo assunto altre 11 persone nella sede di Rimini. Ma se andremo avanti con l’attuale trend di crescita dovremo cercarci un’altra sede, probabilmente in un altro comune. Intanto per il futuro immediato assumeremo nuovo personale nella sede di Catania”.

Alcuni anni fa lei fondò Eticredito, Banca Etica poi confluita in Carim. Può darci un suo punto di vista sulla situazione attuale della Cassa di Risparmio riminese?
“Eticredito, fondata insieme ad un gruppo di amici industriali, era la seconda banca etica italiana, con attività come il finanziamento delle energie rinnovabili, al volontariato,ad enti e persone che altre banche neppure ricevevano. Ne sono stato il vice presidente fino alla fusione con Carim, imposta da Banca d’Italia per consentire una maggiore patrimonializzazione della locale Cassa di Risparmio. Purtroppo non è servito a nulla. I nostri soldi (14 milioni di euro) sono bastati lo spazio di un respiro e dopo tre anni dalla fusione anche tutti gli altri 7.000 soci hanno perso tutto. Per gli incolpevoli  dipendenti di Carim non possiamo che sperare nell’intervento di Cariparma. Se banca del territorio significa sperperare i soldi di tutti a vantaggio di pochi, è meglio che la vicinanza non ci sia”.

Alessandra Leardini