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Modernissima Semele

Il controtenere Carlo Vistoli e il mezzosoprano Lucile Richardot

A Santa Cecilia l’oratorio di Händel in una brillante esecuzione diretta da John Eliot Gardiner, proposto con una spiritosa mise en espace  

ROMA, 8 maggio 2019 – Nominalmente definita ‘oratorio drammatico’, Semele di Händel – all’ascolto – appare un’opera a tutti gli effetti. E delle più belle. A ricordare l’appartenenza a un genere più consono alla quaresima (il debutto fu a Londra nel febbraio 1744), del resto, rimangono sia il libretto di William Congreve in lingua inglese – e non in italiano, come per l’ambito operistico – che descrive in modo spiritoso i difetti degli umani sia il finale edificante: la vanità della protagonista, invaghita di Giove e che aspira a ottenere dal dio l’immortalità, viene punita con la morte proprio per mano del signore dell’Olimpo. L’organizzazione drammatica, invece, fa pensare al ‘masque’ e i tanti siparietti rimandano decisamente al teatro, all’imprescindibile modello di Purcell.

Il direttore John Eliot Gardiner

Inserita nel cartellone dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Semele è stata proposta dall’ottimo complesso strumentale degli English Baroque Soloists e dallo straordinario Monteverdi Choir, guidati da John Eliot Gardiner, che ha diretto con impeccabile correttezza e un aplomb talvolta persino eccessivo, ma comunque in grado di spiccare il volo nei momenti di maggior pathos. Insieme hanno colto un successo straordinario, al quale non è estranea la stupefacente bellezza delle pagine corali e l’incessante varietà con cui le splendide arie – come sempre momenti ‘sospesi’, rispetto all’andamento narrativo – si alternano dinamicamente all’azione, evitando successioni paratattiche dove la monotonia si trova sempre in agguato.

A rendere ancor più accattivante, e al tempo stesso più incisiva, questa esecuzione è stata la ‘mise en espace’ a firma Thomas Guthrie per la regia, con le luci di Rick Fisher e i costumi di Patricia Hofstede: una visualizzazione che sottolinea gli aspetti ironici di una vicenda assai poco quaresimale, attraverso gesti essenziali e un umorismo garbatamente british. Ne sono un esempio i coristi raffigurati – come in tante istantanee – quali partecipanti a un party (le nozze che poi non si celebreranno fra Semele e Athamas), l’arrivo in bicicletta della giovane interprete di Endless Pleasure, l’avida ammirazione femminile per il gioiello che Giove ha regalato a Semele e l’irruzione di Iris, trasformata in una moderna, occhialuta segretaria di Giunone.

L’aspetto visivo ha, dunque, ben valorizzato la straordinaria versatilità scenica del coro e la duttilità interpretativa dei solisti. Del rodatissimo cast facevano parte il soprano Louise Alder, che è riuscita a venire a capo correttamente degli ardui virtuosismi della grande aria di Semele. Accanto a lei, nella duplice veste di Ino, sorella della protagonista, e di una gelosissima Giunone furibonda per l’ennesimo tradimento di Giove, Lucile Richardot si è imposta per le capacità interpretative, riuscendo a trasformare i limiti di una voce disomogenea – il registro di petto non si salda al resto dell’edificio vocale – in ulteriore elemento espressivo del personaggio, d’irresistibile e sinistra comicità. Hugo Hymas, forse un po’ sottodimensionato per la scrittura baritenorile di Giove (personaggio cui tocca l’aria forse più famosa dell’opera), si è comunque imposto per padronanza tecnico-stilistica, mentre Athamas, promesso sposo di Semele e da lei rifiutato, era il controtenore Carlo Vistoli: anche lui elegante e musicale, pur con i limiti di una voce tanto ben proiettata in alto quanto tenue al centro.

Impegnato a vestire sia i panni del padre Cadmo sia quelli allegorici di Somnus, Gianluca Buratto ha messo in evidenza un timbro morbido e scuro (soprattutto nel secondo dei due ruoli, da autentico basso profondo), unito a sicurezza di emissione ed espressività di accento. Spiritosissima, infine, Emily Owen nel breve ma non piccolo ruolo di Iris; da citare poi, doverosamente, la giovane Angela Hicks – un evanescente Cupido – e l’adolescenziale Endless Pleasure in bicicletta di Alison Ponsford-Hill.

Se, insomma, la notorietà di molte pagine della Semele è legata a grandi voci di un passato anche prossimo, dove la grandissima personalità non sempre si sposava al rigore filologico, oggi è arrivato il momento per apprezzare le straordinarie qualità intrinseche di questa musica. Anche in assenza di vocalità particolarmente importanti e puntando, soprattutto, sul lavoro di squadra.

Giulia Vannoni