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Matteo Brighi, una vita da mediano

Umile, con la testa sulle spalle, esempio da seguire, modello di calciatore, ottimo centrocampista. Di chi stiamo parlando? Ovviamente della 28enne stella dello sport riminese Matteo Brighi che attualmente gioca nella Roma, dove con le sue doti tecniche e umane si è contraddistinto fino a ritagliarsi un posto da titolare nell’undici giallorosso. Uno con le idee talmente chiare, con la testa sulle spalle e i piedi ben piantati a terra che quando la Juventus, non proprio l’ultima arrivata, dieci anni fa gli aveva proposto di trasferirsi a Torino lui aveva declinato l’invito dicendo: “Scusate, ma prima devo finire di studiare e prendere il diploma. Tornate l’anno prossimo”. Probabilmente in pochi l’avrebbero fatto di fronte all’offerta della Vecchia Signora ma lui ha saputo aspettare dimostrando di aver optato per la scelta giusta. Un ragazzo d’oro che con il suo modo di fare e di essere uomo di sport si pone necessariamente come un esempio da seguire per tanti giovani di oggi che molto spesso perdono la dimensione della realtà a loro più consona.

Come e quando ha iniziato a praticare questo sport?
“Ho iniziato verso i 6 anni nella parrocchia della Resurrezione. Molto probabilmente mi sono interessato al calcio osservando mio fratello più grande che già giocava”.
Dopo tutta la trafila nel settore giovanile del Rimini e l’approdo in prima squadra, un bel giorno arriva l’interessamento della Juventus.
“Era il 1999 ma decisi di rinviare il trasferimento e restare quindi un altro anno a Rimini per completare gli studi. La stagione seguente poi sono riuscito a trovato maggiore spazio tra i titolari del Rimini sotto la guida di mister Bonavita”.
E poi il trasferimento a Torino, sponda bianconera. Cosa non ha funzionato alla Juventus di Ancellotti?
Ero un ragazzo che proveniva dalla serie C e arrivare alla Juve per me era già un bel premio. In quella squadra c’erano tanti campioni e avevo solo da imparare da loro”.
Dopo un anno a Torino inizia un piccolo pellegrinaggio: Bologna, Parma, Brescia, Verona (sponda Chievo) e infine Roma. In quale di queste città si è trovato meglio? E quale non le è proprio piaciuta?
“A Bologna e Verona mi sono trovato molto bene, soprattutto nella città scaligera, dato che sono rimasto 3 anni, ho conosciuto molti amici che ancora sento. Anche a Bologna sono stato molto bene: ero vicino a casa e c’erano molti ragazzi che studiavano lì. Tra le città nelle quali mi sono trovato peggio dico Torino perché c’ho vissuto durante il mio primo anno lontano da casa e quindi, per me, era decisamente tutto da scoprire. Poi l’inverno è stato veramente brutto anche perché non conoscevo nessuno. Anche il primo impatto con Roma non è stato dei migliori perché è una città caotica ma dopo un po’, quando impari a girarci, scopri che è meravigliosa”.
Cosa le manca di Rimini?
“La famiglia, gli amici e il mare. Il problema è che quando torno al massimo riesco a restare un giorno e mezzo e in un periodo di tempo così breve non si riesce a fare tutto quello che si vuole”.
Alla Roma lei è allenato da uno dei tecnici italiani più stimati. Che tipo è Luciano Spalletti?
“Un grande gestore del gruppo, uno dei migliori al riguardo. Inoltre è un tecnico molto preparato”.
È vero che durante il ritiro estivo lei aveva chiesto di essere ceduto per giocare con più continuità ma lui le ha chiesto di restare a Roma?
“Avevo chiesto di essere ceduto perché avevo molte offerte, mi cercavano tante squadre, e avrei voluto giocare di più. Spalletti ha insistito perché rimanessi chiedendomi di aspettare. Dopo un confronto con il tecnico e la società ho deciso di rimanere alla Roma”.
Con quali dei suoi compagni di squadra ha legato di più?
“Siamo un gruppo molto grande di persone che hanno legato molto. Penso a De Rossi, Aquilani, Motta ma anche Perrotta e Loria. Ci sentiamo anche per uscire insieme”.
E capitan Totti com’è?
“È come lo vediamo tutti, una persona splendida molto legata ai bambini: porta spesso i suoi figli al campo”.
Ovunque lei sia andato non ha mai alzato la voce, non è mai finito sui giornali per eventuali polemiche, ed è sempre riuscito a ritagliarsi spazi importanti. Qual è il suo segreto?
“Non si tratta di un segreto. Dipende tutto dall’educazione che ho ricevuto. Non sono uno a cui piace alzare la voce. Chi la alza magari l’ha vinta ottenendo quello che vuole. Io però accetto serenamente quello che accade e credo fortemente nella classica frase il lavoro paga, perché è vero”.
Che consiglio si sente di dare ai giovani che sognano una carriera da giocatore di calcio e che hanno sotto gli occhi esempi non proprio edificanti come Balotelli?
“Invito i giovani a non vedere il calcio come il loro futuro. Certo è giusto sognarlo. La cosa più importante, comunque, è studiare perché apre tante porte. È una cosa che ripeto sempre ai giovani che incontro d’estate quando vado nelle scuole calcio: non si deve mettere il pallone al primo posto. La carriera di un calciatore può finire da un giorno all’altro”.
A volte ripensa alla sua carriera? Dal Romeo Neri di Rimini all’Olimpico di Roma, fino a calcare il terreno di stadi prestigiosi come lo Stamford Bridge.
“Sì, certo, a volte ci penso. Però non mi piace guardare indietro”.
Che emozione si prova a giocare in Champions League? E a fare gol proprio in questa competizione?
“Per quanto riguarda la Champions League uno inizia sperare di poterci giocare all’inizio della carriera e quindi scendere in campo durante quelle gare è una bella emozione. Poi è ovvio, se si riesce a far gol è ancora tutto più bello”.
Come ritiene stia andando il suo campionato?
“Il mio campionato è molto legato a quello della squadra e ai suoi risultati. Dopo un periodo difficile stiamo tornando ad essere la Roma degli anni scorsi lasciandoci pian piano alle spalle un periodo duro”.
Da quando lei si è ritagliato un posto da titolare inamovibile, la Roma ha iniziato la sua rinascita. Come se lo spiega?
“Quando viene dipinto il momento positivo della Roma legandolo al mio nome non può farmi che piacere ma non posso essere solo io il motivo di una ripartenza verso un periodo più positivo. Quindi penso sia solo una bella coincidenza”.
Sperava in una convocazione in Nazionale per l’amichevole con il Brasile? Ci spera ancora di vestire la maglia Azzurra?
“Chiunque giochi a calcio spera in una convocazione in Nazionale. Comunque non vivo questa situazione con ansia, non è che mi toglie il sonno”.
Quale pensa che sia il problema del calcio moderno?
“Penso che sia l’esasperazione. In Italia al calcio viene data troppa importanza e questo succede perché tutto ciò che c’è intorno a questo sport crea questa situazione: moviole, trasmissioni televisive, ecc”.
Quali sono i suoi progetti futuri?
“Adesso voglio solo finire bene questa stagione e poi ho comunque ancora un contratto lungo con la Roma che è una delle squadre più importanti non solo a livello nazionale ed europeo”.
Sta seguendo il campionato del Rimini? Dove pensa che possa arrivare?
“Da tifoso non posso che sperare nell’aggancio alla zona play-off. Certamente si è venduto tanto, come il capocannoniere Vantaggiato, ma la squadra resta comunque competitiva. Però dalle parole della dirigenza mi sembra che si stia ridimensionando un po’ il tutto anche se capisco le necessità della società”.
Un giorno le piacerebbe tornare a giocare nella sua città?
“Certo. L’ho detto appena ho lasciato Rimini che un giorno mi piacerebbe tornare ”.
Cambiando completamente argomento: che ricordo ha di don Oreste Benzi?
“Il suo ricordo è un ricordo vivo. C’era sempre per tutti e ci voleva essere per tutti. Non negava un saluto a nessuno e faceva tantissime cose e attività, forse più di quante gliene permettesse il suo fisico”.
Sulla vicenda di Eluana Englaro che idea si è fatto?
“Ritengo sia stata fatta troppa pubblicità. Certe situazioni drammatiche vanno vissute, bisognerebbe essere nei loro panni. Da fuori è semplice dire che è meglio lasciarsi morire. Conosco molta gente che va avanti nonostante le difficoltà”.

Matteo Petrucci