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Malamore

Laura ha 20 anni ascolta le notizie e cambia canale, Daniela di anni ne ha 40 ci riflette su e poi va a lavorarare, Gabriella ottantenne non riconosce più il mondo in cui è cresciuta. Al di là dei fatti violenti che riguardano le donne e che si riassumono nel termine sgradevole quanto significativo che è “femminicidio” c’è tutto un mondo che si interroga. Donne e uomini che si chiedono come sia possibile che quasi ogni giorno una donna venga uccisa per mano di un uomo, e di un uomo che per giunta affermava di amarle.
C’è chi dice che il fenomeno è sempre esistito, semplicemente non veniva enfatizzato dai media e chi afferma che le donne in nome di una raggiunta parità, giustamente non ci stanno più a farsi maltrattare e poi finisce come finisce.
Ma procediamo con ordine chiedendo supporto a un’esperta. La psicologa Enrica Notario che proprio su questi temi lavora al “Centro di Psicologia l’Arco” di Rimini.

Dottoressa, partiamo dal principio: come è cambiato il rapporto uomo-donna?
“Il rapporto di coppia è alle prese con la ricerca di un nuovo modo di integrare i bisogni individuali, dell’uomo e della donna: ruoli e funzioni non sono più predefiniti come in passato, questo da un lato facilita la crescita e la realizzazione personale ma dall’altro destabilizza. Fino a che punto i due partner riescono a tollerare spazi di autonomia reciproci? Quanta mobiltà c’è nella coppia verso nuovi adattamenti ai cambiamenti che si presentano nel corso della vita? Nell’affrontare vicissitudini come queste la coppia attraversa inevitabilmente un conflitto che comporta sentimenti di rabbia. Il punto non è eliminarlo o negarlo ma trovare gli strumenti per affrontarlo in modo che il legame possa mantenersi e maturare”.

Perché tanti episodi di femminicidio in Italia?
“In realtà i dati statistici (Unodc, Istat) dicono che l’Italia è tra i paesi sviluppati quello con minor incidenza di femminicidio. Il fenomeno però esiste ed è la soluzione estrema ad un conflitto percepito come una minaccia, in cui l’unica via d’uscita immaginata possibile è la violenza”.

Come arginare allora il fenomeno?
“L’intervento legislativo (la legge contro il femminicidio è del 2013) non è sufficiente per incidere in maniera significativa. Il dibattito in corso su questo tema può però contribuire ad una riflessione che porti ad azioni preventive partendo dal piano culturale ed educativo. In altre parole investire sull’educazione ad un’affettività più matura che accompagni i bambini (maschi e femmine) e gli adolescenti nella crescita perché possano imparare a tollerare le frustrazioni, ad avere relazioni più empatiche, per poter diventare adulti che riescono a sopportare il dolore di un rifiuto o di una separazione”.

Molti si chiedono se accadono più di frequente questi fatti oggi o semplicemente, un tempo, non se ne veniva a conoscenza.
“La violenza nei legami affettivi è un problema che esiste da sempre. Quello che è cambiato è il contesto sociale e relazionale in cui si verifica oggi e soprattutto il grado di tolleranza nei confronti del fenomeno. Il fatto che oggi se ne parli di più può favorire una riflessione che porti ad una maggiore consapevolezza di quello che accade nella coppia e della necessità per chi si trova coinvolto, di ricercare l’aiuto necessario per uscire dalla spirale della violenza. Si tratta di cercare uno spazio in cui potersi fermare e riflettere su ciò che sta accadendo in un modo nuovo”.

In tale contesto anche le vittime, quasi sempre donne, possono involontariamente compiere errori. Quali?
“L’unica cosa sbagliata è la soluzione violenta. Questo deve essere un punto fermo. Poi diciamo che è necessario mantenere uno sguardo aperto a ciò che accade tra le due persone, l’uomo e la donna. Le dinamiche e i conflitti di coppia sono complessi e spesso confusi e affondano le loro radici nella comunicazione intima della relazione. Un rapporto violento è caratterizzato da dinamiche ripetitive, rigide e inflessibili che non permettono di esprimere ruoli e sentimenti diversi e trovare soluzioni nuove. Dinamiche in cui entrambi i partner si ritrovano coinvolti. Il movimento culturale di questi anni ha favorito la denuncia del maltrattamento, passo fondamentale che deve essere il preambolo per poter prendere in mano la propria vita e maturare nuove consapevolezze”.

Stiamo parlando di uomini malati o può succedere a tutti di commettere un fatto simile?
“Alcuni uomini hanno profonde insicurezze e vivono in maniera conflittuale il bisogno di dipendenza dalla compagna. Sono uomini che si difendono da una profonda ansia di abbandono perché sentono di dipendere dall’altro. Di fronte a movimenti di autonomia della compagna provano impotenza e rabbia. L’oggetto che considerano loro possesso potrebbe venir meno e non c’è spazio di pensiero su ciò che sta accadendo, l’unica soluzione è la violenza”.
Silvia Ambrosini