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“La mia vita a New York”

Lasciare il proprio Paese per lavoro è il risultato di una disposizione d’animo non comune. È un sogno di molti, ma quando ci si trova davanti alla scelta, non tutti hanno il coraggio di fare il salto e di abbandonare la loro quotidianità. Francesco Farina, riminese, da poco superati i 40 anni, quando si è trovato di fronte al bivio non ci ha pensato troppo e ha preso moglie e figli ed è andato a New York per conto della Scavolini, ditta per cui già da anni lavorava nella sede di Montelabbate, nel pesarese.
“Lavoro da Scavolini dall’età di 30 anni – racconta – e poi nel 2008 l’azienda ha deciso di sondare il mercato degli Stati Uniti e di aprire una succursale a New York”.
In che modo sei stato coinvolto nel progetto?
“Mi hanno proposto di trasferirmi e di aprire per conto dell’azienda la società Scavolini USA inc. Ho ritenuto il progetto interessante e ho accettato. Per un paio di anni ho fatto avanti e indietro per sistemare tutte le questioni burocratiche finché nel 2010 l’ufficio ha aperto e io mi sono definitivamente trasferito con mia moglie e i miei bimbi di 3 anni e 6 mesi. Se devo essere sincero non è stata una scelta sofferta. Conoscevo bene l’azienda, mi fidavo e in più mia moglie era entusiasta dell’idea”.
È stato difficile il trasferimento?
“Nonostante un sistema complicato di assicurazione e visti, devo dire che abbiamo avuto un inserimento buono. Da un lato avere le spalle coperte dall’azienda ha sicuramente aiutato molto, dall’altro, io ho avuto due anni di tempo, prima che arrivasse la mia famiglia per trovare il luogo migliore in cui sistemarsi. Ho valutato molte zone. Prima Long Island e New Jersey, ma alla fine ho deciso per Brooklyn. Qui ho trovato un ambiente molto accogliente. Viviamo in una zona tranquilla, in cui utilizziamo la bici, si cammina, ci sono i negozi aperti di sera, e siamo vicini a Manhattan. Non viviamo le difficoltà delle grandi metropoli”.
Come è andato il dopo inserimento?
“Il mio lavoro va bene: sono spesso in ufficio a New York, ma viaggio per tutto il continente, dal Canada al Centro America e spesso torno in Italia alla sede centrale. Mia moglie, invece, non ha ancora trovato lavoro. Quando abbiamo lasciato l’Italia lei faceva l’avvocato e qui non è ancora riuscita a praticare la stessa professione. I bambini, invece, si sono ambientati molto bene. Abbiamo deciso di iscriverli nelle scuole pubbliche americane, perché per noi è importante che si integrino bene nell’ambiente in cui vivono, oltre al fatto che imparare l’inglese come prima lingua è una grande opportunità. Viviamo in un ambiente aperto agli scambi relazionali, in cui si incontrano persone da tutto il mondo e c’è una popolazione molto diversificata”.
Sembra che l’Italia non ti manchi tanto, il tuo è stato un trasferimento con tante luci e poche ombre.
“Se devo essere sincero qui stiamo bene. L’Italia è sempre la nostra casa, ma a New York stiamo alla grande e non prevediamo, salvo necessità, la possibilità di rientrare presto. Poi non posso negare che sono tante le cose che mi mancano: per esempio mi manca la tranquillità con cui si mangia una piadina in spiaggia, qui i ristoranti hanno sempre l’aria condizionata gelida! Ma sono aspetti marginali. L’America è un paese che offre tanto”.
Com’è essere italiano in America?
“Gli italiani in America sono molto apprezzati. Dal punto di vista professionale ci vengono riconosciute qualità e doti legate alla creatività e alla capacità di saper fare cose ottime. C’è molta attenzione per quello che diciamo e facciamo, e godiamo di un’ottima reputazione, soprattutto nel fashion e nel design. Diverso il discorso sulla politica e sullo stato del Paese. Se da un lato anche io come italiano lo vivo come poco invogliante per rientrare, dall’altro anche le persone con cui mi relaziono quotidianamente mostrano molta incredulità per la situazione che faticano a capire. Come il fatto che siano serviti più di 50 giorni per formare un Governo, o che la crisi non sia mai stata affrontata di petto”.
Alla fine il Governo è stato fatto, ma, sentendo le parole di Francesco, un po’ di amarezza sul fondo rimane.
“I miei amici dicono tutti che gli italiani hanno grandissime potenzialità, grandi capacità, ma poi, per qualche oscuro motivo, non sempre vengono espresse”.
Forse è l’altro lato della medaglia. Lo stesso spirito anarchico che ci rende così fantasiosi e capaci, ci rende impossibili da governare.

Stefano Rossini