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La meraviglia di dare alla luce un uomo

Compie cinque anni “Dare alla luce un uomo”, il corso di preparazione al parto per coppie organizzato dall’Ufficio Diocesano per la Pastorale Familiare e l’Associazione dei Medici Cattolici di Rimini. Ne parliamo con il dott. Paolo Brici, uno degli animatori del corso.

Perché un corso per partorienti?
“Intanto non è un corso per partorienti, ma è rivolto a coppie. Questa è l’originalità: non si limita alla madre, vuole coinvolgere anche il padre. In un periodo storico di cambiamento culturale, in cui la figura paterna viaggia nella nebbia e con lei diventa evanescente, ci è parso opportuno coinvolgere anche il futuro papà, esaltandone la funzione di protezione, supporto e sostegno nei confronti della compagna di vita anche nel corso del parto, evento al quale tradizionalmente il padre non partecipa direttamente“.

E cosa verrebbe a imparare questo padre?
“Nei tre incontri teorico-pratici in cui si struttura il corso, rivolto alle coppie al terzo trimestre di gestazione, vengono insegnate tecniche corporee di respirazione e digitopressione da mettere in atto nell’ultimo periodo della gravidanza e durante il parto. Il partner impara a conoscere e riconoscere la respirazione diaframmatica per aiutare la futura partoriente nella respirazione corretta, e viene addestrato alla digitopressione che è un modo «manuale» di stimolare punti di agopuntura, finalizzati in un primo tempo alla preparazione al parto, poi, durante il travaglio, per il contenimento del dolore e per sostenere il naturale evolvere della nascita del proprio figlio, dopo il parto per favorire la lattazione e prevenire la depressione post parto”.

Esistono iniziative pubbliche simili?
“Da oltre un decennio c’è grande attenzione sul controllo del dolore. Circa 10 anni fa prese il via anche nell’ospedale della nostra città il progetto di controllo del dolore di parto. Il progetto prevedeva due filoni, quello farmacologico e quello non farmacologico. Per motivi che non so con certezza il progetto della partoanalgesia farmacologica prese subito vela, quello per il controllo non farmacologico, seppur meno oneroso, ristagnò per alcun anni come «progetto per il prossimo anno». Dal confronto fra alcune amiche ostetriche e l’agopuntore è nata l’idea del corso che l’Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia ha condiviso e supportato. C’è una burocrazia più agile in diocesi che in AUSL: nel giro di pochi mesi il progetto ha preso concretezza e prima del Natale di quell’anno, 2012, c’era già stata la prima edizione. Da allora ogni tre mesi riproponiamo il corso. Nell’ambito della sanità pubblica, solo recentemente la Regione Emilia-Romagna ha realizzato un progetto sperimentale di digitopressione per il contenimento non farmacologico del dolore di parto, ancora in fase di organizzazione. Ma la differenza sta nel fatto che noi vogliamo offrire alla coppia la posizione di attori, di esser loro, come coppia, i protagonisti della nascita del figlio, salvaguardando il percorso naturale dell’evento e consegnando loro strumenti che permettano di realizzare anche nella situazione del parto una sinergia fra padre e madre”.

Capisco le intenzioni, ma il dolore è pur sempre dolore…
“Quello che viene evocato dalle donne come dolore del parto ha un nome proprio. Si chiama doglia. Doglia e dolore sono diversi.
«Dolore» è termine maschile, aspecifico. Dolore è infarto di cuore, un dito schiacciato, una colica renale… Dolore è la sensazione sgradevole che mette in avviso di patologia o in allarme di fuga.
«Doglia» è femminile ed è termine specifico per indicare lo sgomento di contrazione uterina relativo all’evento del parto. È sensazione che ha a che fare col dolore, ma è un dolore fisiologico. È avviso di gioia, di tempi maturi. Quasi al contrario del dolore richiede partecipazione, non fuga”.

D’accordo, doglia è fisiologico, ma allora perché la fisiologia prevede dolore per partorire?
“È una domanda cruciale. La natura è crudele con la madre? Perché dovrebbe? In realtà la natura si prodiga per favorire nuove nascite. Vuoi che proprio al momento della nascita debba «punire» la madre? Va fatto un bel passo indietro per capire.
Quando l’ominide ha abbandonato l’uso dei quattro arti per camminare ed è diventato eretto, ha compiuto un balzo in avanti dal punto di vista filogenetico perché la liberazione delle braccia e della tensione della nuca gli ha guadagnato mani e gola che gli hanno permesso la manipolazione e la fonazione, basi della simbolizzazione e dell’autoconsapevolezza.
È diventato uomo, anthropos, colui che sta in piedi eretto. Un nuovo passo nel progresso della natura.
Per contro questa posizione gli ha portato fisicamente una verticalizzazione della colonna e una disposizione delle anche che richiede una compressione e un arrotondamento ad imbuto del bacino con il restringimento del passaggio inferiore. Questo comporta l’impossibilità di dare alla luce il figlio a completa maturazione. Così, contrariamente a quasi tutti gli altri animali il neonato di uomo non ha alcun tipo di autonomia, se non quelle strettamente vitali: il respiro, il riflesso della suzione, l’alternanza veglia sonno.
Come già in altre situazioni similari, la natura ha disposto di privilegiare la nuova conquista, disponendo di far nascere un essere immaturo quanto basta ad essere vitale, affidandolo alle premure della madre che proseguono all’esterno la gestazione altrimenti non prolungabile…”.

…Bene, questo ci pone di fronte a una certa intelligenza della natura, ma a maggior ragione, a fronte di questa logica finalizzata, perché la natura pare matrigna con la madre?
“Quelle raccontate sono solo le premesse. Per capire che senso abbia che il parto avvenga in questo modo si deve capovolgere la prospettiva, bisogna considerare il parto dalla parte del più fragile, il nascituro.
Se per la gestante c’è un «dolore fisiologico» denominato «doglia», per il bambino non ci sono attenuanti semantiche. Il suo è proprio dolore. Si tratta di una esperienza di morte, di un dolore al limite della sopportazione. Costretto come è a passare da un ambiente rassicurante, buio, umido e caldo, silenzioso e nutriente mediato in tutto e per tutto dalla madre ad un mondo sconfinato e ignoto, luminoso, secco e freddo, chiassoso e asfissiante che gli violenta i polmoni e gli devia la circolazione del sangue per permettergli di ossigenarsi. Deve improvvisamente vivere di proprio respiro.
Ecco, se c’è qualcuno a cui va data una mano in termini di controllo del dolore di parto, questo è proprio il nascente. Ed è per sostenere il nascente che la natura ha predisposto il grande stress della madre partoriente.
Nel travaglio si verifica in seguito alle contrazioni dolorose la produzione di ormoni antidolorifici che servono sì alla madre da analgesici, ma sono trasmessi anche al figlio attraverso la placenta. Il ritmo incalzante delle doglie e la progressiva intensificazione della contrazione accompagnano la produzione di queste sostanze analgesiche per permettere di affrontare intensità di dolore altrimenti insopportabili. Così la madre viene indotta dal suo stesso organismo a produrre per sé e per il figlio sostanza che contengono il dolore.
Quando poi il travaglio arriva a rendere esausta, è allora che lo stress induce la produzione di prolattina, ormone che trasmesso al nascituro permette per un verso di meglio sopportare la fase espulsiva del parto, ma subito dopo è l’ormone che permette il crearsi della fedeltà reciproca, l’ormone che fa legare madre e figlio.
Ecco allora a cosa serve il travaglio e quella particolare forma di «dolore fisiologico» che sono le doglie. Ecco dove sta la perfezione dell’evento. La natura stimola la madre a produrre ormoni per rendere meno doloroso il passaggio al figlio, rende quel soffocante strizzamento del corpicino lungo il canale del parto un lungo e stretto abbraccio”.

E in tutto questo cosa c’entrano la respirazione e la digitopressione?
“Lo scopo del nostro lavoro sarà quello di mettere la madre nelle condizioni di controllare la sensazione spiacevole delle doglie senza modificare le dinamiche del parto. La doglia, resa sopportabile, permetterà alla madre di sviluppare tutta la reazione endogena di controllo del dolore, da poter trasmettere al nascituro, pur mantenendo la capacità della partecipazione attiva al parto. Per raggiungere questi obiettivi ci siamo proposti di intervenire su alcune componenti del dolore di parto: quella emotiva, quella muscolare, quella algica vera e propria.
Una componente non piccola di ogni tipo di dolore è quella emotiva. Il dolore di parto non fa eccezione. L’emozione è la componente cognitiva che dà volume al dolore. Una emozione positiva lo contiene, una negativa lo amplifica. Ogni emozione ha il suo primo impatto sul respiro, lo cambia. L’ansia e la rabbia lo accelerano, la tristezza lo rallenta e lo interrompe in singhiozzi. La paura lo sospende, lo fa trattenere. Se si impara a controllare il respiro, se ci si concentra sull’atto della ventilazione, si può più facilmente controllare la componente emotiva, più spesso paura e ansia, che amplifica dolore. Per questo si insegna il respiro diaframmatico-perineale alla partoriente e si addestra il padre a percepire il respiro della partner, a saperlo riconoscere per mettere in atto strategie di coatching per accompagnare e stimolare.
Altra componente che accompagna il dolore è la reazione istintiva muscolare, che tende a irrigidirsi. Per questo alla pura tecnica respiratoria si abbinano posizioni e movimenti che aiutino a rilassare o a contrarre, a seconda del momento, per accompagnare coi muscoli volontari la sapienza della dinamica del parto e allo stesso tempo tutelare l’integrità della madre.
In supporto alle tecniche respiratorie c’è anche la digitopressione, ovvero la stimolazione con massaggio di punti di agopuntura utilizzati a scopo antalgico per le partorienti”.

E i risultati?
“I risultati sono di soddisfazione. Un padre cosciente della dinamica dell’evento supera l’impaccio, non rimane sconvolto dallo spettacolo di dolore, ma diviene capace di mantenere un comportamento di collaborazione e sostegno. Una madre consapevole della finalità del dolore di parto, è disposta ad affrontarlo e a non esserne travolta. Le esperienze raccolte sono che il dolore di doglia non è eliminato, ma la partoriente è in grado di controllarlo. Tendenzialmente i tempi del parto sono più contenuti. Il padre riconosce come una bella esperienza quella di aver partecipato attivamente alla nascita del proprio figlio. Alcune coppie sono tornate per una successiva gravidanza. Abbiamo avuto testimonianza di efficacia di queste tecniche per un travaglio di 18 ore”.

Un’osservazione: parli spesso di partner, compagno di vita, madre-padre, mai di sposi…
“Il corso è una iniziativa di credenti, sorta in ambito diocesano. Ciò non toglie che possa partecipare chiunque è interessato, credente o no”.