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L’ Unità Pastorale dell’Alto Rubicone

Unità Pastorale dell’Alto Rubicone – Due province (Forlì-Cesena e Rimini), quattro Comuni (Roncofreddo, Sogliano, Borghi e Santarcangelo), cinque parrocchie (S. Cristoforo, S. Biagio, S. Lorenzo, S. Martino e San Giovanni): ecco i contorni della Zona Pastorale dell’alto Rubicone.
La geografia da sola però non spiega la storia e neppure la sociologia, assai più complessa e dinamica. E i titoli delle parrocchie non dicono tutta la ricchezza dei loro territori, costellati di altre chiese, una volta sedi parrocchiali anch’esse.

Ma la stessa Zona Pastorale, sconfinata nella sua estensione (dalla valle del Savio alla valle dell’Uso, abbracciando la valle del Rubicone), si caratterizza all’interno per l’Unità Pastorale di Sogliano-Borghi, con i suoi tre preti residenti e “conviventi”. Proprio per questo si definisce Unità Pastorale: perché i tre preti condividono unitariamente il servizio pastorale alle Comunità loro affidate e interagiscono e interscambiano la loro presenza sul territorio.
Ma parliamo più semplice, attraverso l’esperienza e la testimonianza diretta dei sacerdoti.
Li presentiamo brevemente. A Roncofreddo troviamo il sacerdote decano della Zona pastorale, don Fernando Della Pasqua; decano perché parroco a S. Biagio di Roncofreddo dal 1978. Dal ’78 ad oggi la parrocchia si è allargata alle chiese di Santa Paola, San Giuliano di Musano, Santa Maria di Cento, Santi Cristoforo e Caterina di Monteleone, San Biagio di Castiglione.
Sull’altra sponda del Rubicone, a strapiombo sull’Uso, don Wieslaw Gutowski custodisce San Giovanni in Galilea<+testo_band>, con le chiese succursali di Gorolo (S. Maria Maddalena), Masrola e S. Martino in Converseto.
Fra Roncofreddo e Sogliano resiste ancora una piccola “isola” parrocchiale, piccola quanto “un granello di senape”, con “153 grossi pesci”: l’intrepido novantaduenne don Sante Mancini va ancora a celebrare la messa domenicale e, qualche volta, anche feriale.
Per ultimi lasciamo i tre preti di Sogliano-Borghi che, oltre ad appartenere alla Zona pastorale, formano anche, come si è detto, l’Unità pastorale: don Giuseppe Vaccarini, don Eugenio Facondini e don Gino Gessaroli.
“Della nostra équipe fanno parte anche il diacono Alberto Belletti e due aspiranti diaconi. Sono preziosi per l’animazione e la guida di piccole comunità, come Montetiffi e Massamanente”.

Zona Pastorale e Unità pastorale: come mai due realtà simili e distinte?
“La Zona pastorale – precisa don Giuseppe – è più una necessità territoriale che pastorale, mentre l’Unità pastorale vede coinvolti noi tre preti in tutti gli aspetti della vita: dalla convivenza nella stessa casa alla condivisione delle iniziative e prospettive pastorali. L’Unità pastorale si fonda soprattutto su un progetto pastorale comune e portato avanti in sinergia”.

E qual è il progetto comune?
“Tenendo presente che la nostra Zona e Unità pastorale è molto estesa e con molte piccole Comunità, in sintonia con la Diocesi, abbiamo pensato di accentuare il tema della ministerialità come assunzione di responsabilità. C’è bisogno di passare da tante porzioni di territorio (una volta parrocchie) a piccole comunità, e ci vogliono persone capaci e vogliose di portare avanti un simile progetto”.

Concretamente come portate avanti il progetto?
“Abbiamo cominciato col riunire tutti i Consigli Parrocchiali, distinguendo vari livelli di partecipazione: all’inizio dell’anno pastorale valutiamo insieme le priorità e abbozziamo un programma; alla fine dell’anno ne facciamo la verifica.
Inoltre ci sono varie occasioni durante l’anno per incontrarci: formiamo gruppi di condivisione, nei quali tutti possono parlare e raccontarsi. In questi incontri la gente trova gusto a parlare e a confrontarsi. È da questi incontri che trova accoglienza e apprezzamento il cammino comune. Rientrano in questa prospettiva anche gli otto incontri che abbiamo fatto quest’anno per la formazione ed il cammino degli evangelizzatori”.

Raccontaci qualcosa sull’Unità pastorale, sulla vita di voi tre preti.
“Noi dovremmo formare una «convivenza» stabile, ma in realtà siamo anche molto frantumati: per gli impegni pastorali, ora da una parte ora dall’altra, non ci troviamo mai insieme per la cena; qualche volta pranziamo insieme; tutti i giovedì, con gli altri preti della Zona ci troviamo per un momento di preghiera, riflessione sulla Parola e il pranzo. La cosa più bella e continuativa è la preghiera di Lodi del mattino e l’appuntamento annuale di tre giorni, in un luogo tranquillo, lontano dagli affanni quotidiani, per valutare e progettare insieme il lavoro pastorale.
Abbiamo poi razionalizzato alcuni servizi per non disperdere troppo le energie: per esempio, io mi occupo della Caritas sia a Borghi che a Sogliano, don Eugenio si dedica più specificamente alla catechesi di Iniziazione cristiana a Sogliano e di formazione sulla Parola di Dio, don Gino viaggia per il mondo in cerca di giovani”.

Se ho capito, il giovedì è il vostro giorno comunitario …
“Spesso anche con gli altri preti della Zona. Ma per noi tre preti c’è anche un altro momento importante, mensile: la revisione della nostra vita. Ci facciamo seguire anche da un aiuto esterno, da don Andrea, per avere uno sguardo più obiettivo della realtà e della vita comune”.

Le cose belle si raccontano volentieri, ma le difficoltà?
“Non abbiamo paura neanche di quelle – interviene don Gino mentre ci offre una tazzina di caffè – . Per capirle, tieni presente che noi tre preti siamo di età diverse, con modelli presbiterali diversi, con una formazione teologica diversa … Anche le nostre esperienze di vita sono molto diverse: don Giuseppe è entrato in Seminario subito dopo il liceo, don Eugenio è diventato prete dopo aver fatto l’impiegato e io sono arrivato dall’Università di Modena dove lavoravo come ricercatore. Dunque la prima difficoltà è mettere insieme tre vite profondamente diverse tra loro.
Poi ci sono difficoltà anche molto pratiche, come l’organizzazione del servizio pastorale sul territorio … Tieni presente che se dico Messa allo Stradone e poi devo andare a Montegelli, devo mettere in conto almeno mezz’ora di macchina per macinare i 25 chilometri che separano le due estremità, passando da una valle all’altra”.

Concludiamo in bellezza la nostra conversazione: in questi tre anni avete provato qualche bella soddisfazione?
“Quassù mi sembra di essere in paradiso. C’è un clima di paese, dove tutti ci si conosce; qualche volta ci si critica, ma sempre si è solidali. Qui sono realmente possibili le relazioni personali e questa è una buona premessa per sognare piccole comunità costruite sulla fraternità”.
“In questi luoghi – interviene infine don Eugenio – il nostro desiderio è anche quello di aiutare a crescere nella fede attraverso un più profondo ascolto e «gusto» della Parola di Dio, cercando di non fermarsi ad una religiosità più legata alle tradizionali devozioni che pure hanno grande importanza qui da noi”.

Egidio Brigliadori