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Prostituite

Il corpo di Gesù offerto per amore, il corpo di tante sorelle torturate. Un accostamento irriguardoso?
Nel tradizionale messaggio lanciato in occasione del Corpus Domini alla città e alla Diocesi, il Vescovo di Rimini ha toccato il tema del corpo, declinando il suo intervento su due fronti.
Il primo prende spunto dalle parole di Gesù durante l’ultima cena, e in particolare: “Questo è il mio corpo”. Il Vescovo si sofferma sul significato biblico del “corpo”, non un involucro ma indica tutto l’individuo. E del suo corpo ingiustamente martoriato, Gesù ha fatto un corpo liberamente offerto.
Nella seconda parte del Discorso, il Vescovo ritorna sulla frase “Questo è il mio corpo!”, diventata lo slogan della campagna di sensibilizzazione lanciata dalla APGXXIII a favore della dignità del corpo e contro la mercificazione di esso.
Come compagni di viaggio, mons. Lambiasi cita don Oreste Benzi e papa Francesco, che ha condannato anche i molti clienti cattolici delle donne della strada. Queste sorelle non sono prostitute, ma dovrebbero essere onestamente riconosciute come prostituite. Non si tratta di una leziosa questione grammaticale ma di sostanza.

Manuel Mussoni, insegnante di scuola superiore: “La bellezza genera stupore ed esso comporta rispetto dell’altro, mai desiderio di possesso, ma inclinazione al donarsi.
La prostituzione ci sprona ad un duplice livello di impegno: – fa notare – in prima istanza occorre un grande sforzo educativo che formi coscienze con un senso profondo dell’alterità, oggi sembra che il concetto di coppia sia superato dallo squallido desiderio di poter avere per sé tutto ciò che si desidera trascurando l’idea di donarsi che alimenta ogni relazione; successivamente – prosegue la sua analisi Mussoni, che riveste anche il ruolo di presidente di Azione Cattolica diocesana – necessitiamo un maggior lavoro di rete fatto di denuncia e di ascolto delle storie personali per sferzare questo triste problema. Le conseguenze di un atteggiamento superficiale dinanzi questo problema e la mancanza di un sano stupore davanti alla bellezza pura e profonda della donna le vediamo nei drammi di oggi dove l’individualismo esasperato e il senso di possesso dell’altro sembrano aver abbandonato la felice strada della vita di coppia a favore del tenebroso sentiero della «morte di coppia»”.
Un messaggio molto forte e coraggioso, capace di scuotere le coscienze. Così lo definisce suor Lina Rossi. “Non una riflessione buonista, moraleggiante, ma l’invito a prendere coscienza, che il corpo, reso spazio santo dall’Incarnazione e dal Battesimo, nutrito dal Corpo di Cristo, non può e non deve essere mercificato.– incalza con la sua riflessione, la religiosa – Il richiamo ad un’azione culturale ed educativa che «deve essere promossa e coraggiosamente attivata» è quanto mai preciso e si fonda sulla formazione al rispetto dell’altro, al riconoscimento della dignità che ogni persona possiede e che non può essere asservita a interessi di «mercato»”. Risultato? Per suor Lina: “Tutti abbiamo bisogno di deciderci a fare la nostra parte possibile”.
Da una religiosa ad un’altra sorella. Lei, suor Maria Gabriella Bortot, è rimasta colpita come da una clava dalla “parola netta e vibrante del Vescovo che ha sferzato la nostra coscienza cristiana e deve aver dato la scossa anche all’Arco d’Augusto”. Perché giudicare “con impietoso disprezzo la prostituta che espone le parti del suo corpo stimate «interessanti» al macellaio violento, voglioso di carne di donna?
E se per una volta la donna-preda passasse in eclisse e la zoomata vertesse sullo sfruttatore aguzzino che, tenendosi a distanza, le procura i clienti, le conteggia le prestazioni e a sera la riempie di botte? E se anziché bollarla da femmina indecente provassimo per la sviscerata compassione che aveva don Oreste e implorassimo misericordia per l’uomo-vampiro che la spreme per ringalluzzirsi e gonfiarsi come un pavone?”.
Perché attribuire alla donna di strada “l’epiteto oltraggioso di «donna da marciapiede» o «una di quelle», svalutandola come fosse senza onore, senza dignità, persino senza nome?”.

Il verbo prostituite utilizzato propriamente dal Vescovo può essere declinato anche in altre situazioni. “Un problema analogo – è l’avvocato Massimo Pasquinell a parlare – è quello della mercificazione dei bambini, della pedofilia (di cui purtroppo me ne sono occupato anche professionalmente in quanto avvocato), i prostituiti maschili ma persino l’abbandono dei vecchi, uomini senza protezione intesi come corpi alla deriva”. Sollecitato dal Discorso alla Città, Pasquinelli ne condivide alcune suggestioni. “L’intervento del Vescovo non dev’essere colto soltanto come un problema di ordine pubblico. Sarebbe riduttivo. pone invece una questione di educazione e di cultura: è necessario – e urgente – riformare un popolo, una comunità anche a Rimini, specialmente in estate depistata su una cura del corpo deificato o mercificato”. C’è un altro tratto dell’intervento del Corpus Domini che ha fatto sobbalzare l’ex presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini. “A Rimini, solo la Chiesa oggi può levare un richiamo civile così esplicito. Che mette al centro le donne e gli uomini”.

Come coltivare e rigenerare cultura dell’amore verso l’altro in questa società «malata»? Per Pasquinelli, lo stupore a cui invita il Vescovo non può che nascere dalla fede. Il bene che cerchiamo nasce da Altro. “Come cristiani, siamo invitati a chiedere perdono per chi compie questi peccati contro il corpo, ma anche a far incontrare ad altri quello sguardo trasparente e quel cuore ardente che cambia la vita. La Papa Giovanni XXIII non parla di prostituzione ma si fa compagna per far incontrare alle ragazze Chi muove la loro azione. Come pure va riempito il «vuoto» esistenziale dei clienti che genera la tratta, il mercimonio, la schiavitù”.

Paolo Guiducci