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Caos climatico: politiche da struzzi

È certamente positivo il fatto che in una agenda del G7 per la prima volta approdi un tema legato all’ambiente, ma ora ci vuole un cambiamento di paradigma politico. Qui ormai non stiamo più parlando di cambiamenti climatici come se fosse un processo graduale e controllabile.

Qui siamo davanti a un caos climatico che pone alla sicurezza internazionale le stesse sfide delle armi nucleari. Non si tratta di questioni ambientaliste, nè di questioni marginali. La difesa dell’ambiente è un tema che ormai deve far parte dei punti principali dell’impegno internazionale. Se non capiamo questo, non capiamo che le nuove minacce non sono solo quelle di carattere militare, o le pandemie, ma sono anche legate al cambiamento strutturale del cima. Nessuno dei leader mondiali può dire di avere la coscienza pulita. Dietro le fiamme in Amazzonia e in Siberia, la deforestazione, i disastri ambientali, ognuno ha la sua parte di responsabilità.

Una delle questioni oggi importanti è il sovranismo. La questione del ripiegamento di molti Paesi sui confini interni, senza rendersi conto che, dinanzi al cambiamento climatico, è del tutto inutile erigere confini di protezione. In più c’è un’altra questione che richiama la cultura politica. Secondo alcune analisi, noi siamo entrati in una nuova era geologica, che viene definita come “antropocene”.

È l’epoca inaugurata dai cambiamenti strutturali causati sul pianeta dall’attività industriale e dal consumo. Se non ci rendiamo conto di questo, se continueremo ad avere una visione politicamente antropocentrica e se non cominciamo a pensare in termini di politica planetaria, non riusciamo ad affrontare il fondo della questione.

Se non mettiamo mano a dei meccanismi che limitano l’influenza dell’attuale caos climatico – l’impatto cioè che il riscaldamento della terra ha sulla desertificazione, sulle risorse alimentari e idriche – non possiamo più essere sicuri. Un esempio. In alcune aree del pianeta come in Africa, nel Sahel, i cambiamenti climatici provocano movimenti migratori.

I movimenti migratori creano instabilità regionale e mettono in discussione le frontiere. Tutto questo ha a che fare con la sicurezza. Sarà questo il tema centrale con cui ci dovremo confrontare nei prossimi decenni.
Gli economisti invocano un cambiamento del modello di sviluppo. Giusto, ma poiché questo cambiamento del modello economico non sarà per domani e il tempo oggi a disposizione non c’è più, qualcosa bisogna fare e farlo adesso.

Pasquale Ferrara, ambasciatore italiano in Algeria e docente di diplomazia alla Luiss di Roma