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Aiuto al suicidio: cosa dice la Corte

Non è punibile, seppur a determinate condizioni, colui che agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un’altra persona. E’ una decisione di portata storica quella presa dalla Corte Costituzionale, che di fatto introduce nell’ordinamento italiano una fattispecie giuridica che finora ne era radicalmente esclusa, tratteggiando una situazione sulla quale – è l’auspicio dei giudici – il Parlamento potrà ulteriormente intervenire.

In attesa del deposito della sentenza, il comunicato reso noto dall’Ufficio stampa fa capire che la Corte si è mossa pienamente dentro il solco già tracciato un anno fa, quando – giudicando la condotta di Marco Cappato che aveva accompagnato Fabiano Antoniani in Svizzera perché quest’ultimo potesse sottoporsi alla pratica del suicidio assistito – ne aveva affermato la ”non punibilità”, prospettando dunque l’incostituzionalità dell’articolo 580 del Codice penale (che punisce l’aiuto al suicidio) quando il caso concreto presenta le caratteristiche che il ”caso Fabo” presentava.

Si legge nella nota diramata dopo due giorni di camera di consiglio che ”la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Sono esattamente le quattro condizioni che la Corte aveva già segnalato nell’ordinanza 207 di un anno fa, e cioè che il soggetto del quale si agevoli il suicidio sia ”una persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Quindi, quando un soggetto che si trovi in queste condizioni esprime la volontà del suicidio, fornirgli aiuto affinché ciò accada non costituisce reato e non è quindi punibile. A decidere nel concreto dovrà essere il giudice chiamato in causa, giacché il dispositivo scelto dalla Corte non incide sul testo dell’art. 580 c.p., che resta in vigore pur con questa nuova linea interpretativa.

Dodici mesi fa la Corte aveva scelto di non intervenire subito e di lasciare al Parlamento un anno di tempo al fine di circoscrivere nel dettaglio tali situazioni, in modo da prevenire abusi, in particolare verso ”persone vulnerabili”. Compito – come ben noto – non assolto dalle Camere. Scaduto il tempo concesso, la Corte (che ha dunque negato ogni ulteriore rinvio) è ora intervenuta provando lei stessa a definire alcuni limiti alla appena dichiarata ”non punibilità”. Per fare questo, ha stabilito alcune ”condizioni e modalità procedimentali”, che – non avendo essa la titolarità del potere legislativo – è andata a desumere da norme già presenti nell’ordinamento. Ribadendo ancora una volta che comunque un intervento del Parlamento è “indispensabile”.

Ecco come il comunicato spiega questo punto:
“In attesa di un indispensabile intervento del legislatore, la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente. La Corte – prosegue il testo spiegando tale decisione – sottolinea che l’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018. Rispetto alle condotte già realizzate, il giudice – conclude la Corte – valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate”.

 

I timori più diffusi: aperta una falla, crollerà la diga

rofondamente preoccupato e negativo il commento di quanti vedono in questa decisione della Consulta la prima rottura di una diga destinata poi col tempo a crollare: il timore cioè di un ampliamento della casistica e della possibilità di procurare la morte, come storicamente avvenuto, peraltro, negli altri paesi europei che hanno aperto le porte al suicidio assistito o all’eutanasia. Timori particolarmente diffusi in ambito cattolico dove la preoccupazione maggiore è relativa soprattutto alla spinta culturale implicita che può portare soggetti sofferenti a ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una scelta di dignità.

SCIENZA&VITA
“La Corte – dice Alberto Gambino, prorettore dell’Università Europea di Roma e presidente di Scienza&Vita – ha ceduto a una visione utilitaristica della vita umana, ribaltando l’articolo 2 della nostra Carta, che mette al centro la persona umana e non la sua mera volontà”.

CENTRO STUDI LIVATINO
Critica nei confronti dei giudici della Consulta la posizione del Centro Studi Livatino, che in passato ha prodotto numerosi documenti sul tema del fine vita: “La decisione di oggi della Corte costituzionale non dichiara illegittimo l’articolo 580 del codice penale, ma demanda al giudice del singolo caso stabilire se sussistono le condizioni per la non punibilità, cioè investe il giudice del potere di stabilire in concreto quando togliere la vita a una persona sia sanzionato, oppure no. Inoltre fa crescere confusione e arbitrio, ricordando che deve essere rispettata la normativa su consenso informato e cure palliative: ma come, se la legge sulle cure palliative non è mai stata finanziata e non esistono reparti a ciò attrezzati? Poi così si medicalizza il suicidio assistito, scaricando una decisione così impegnativa sul Servizio sanitario nazionale, senza menzionare l’obiezione di coscienza, di cui pure aveva parlato nell’ordinanza 207. Infine se la Consulta ritiene l’intervento del legislatore “indispensabile”, allora perché essa stessa lo ha anticipato come Consulta? Quel che si ricava dalla nota è confusione, incoerenza e arbitrio.”

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
“Sconcerto e distanza” rispetto a quanto deciso vengono espressi dalla Conferenza episcopale italiana, che rilancia le parole pronunciate pochi giorni fa da papa Francesco: “Si può e si deve respingere la tentazione, indotta anche da mutamenti legislativi, di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia”.

MOVIMENTO PER LA VITA
“La decisione – dice Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita – avrà purtroppo i suoi effetti nefasti sulla solidarietà: verranno meno le ragioni profonde della prossimità e dell’assistenza, con tutte le drammatiche conseguenze sul SSN. La sofferenza non si combatte con il farmaco letale, ma con la terapia del dolore e le cure palliative. È chiaro che dietro l’introduzione sociale del suicidio assistito come dell’eutanasia c’è una cultura che non sa riconoscere la dignità umana nei malati, nei disabili, negli anziani e strumentalizza il tema della libertà. È la cultura dello scarto. È necessario reagire e non soccombere. Ci resta la speranza che il Parlamento intervenga almeno per evitare le peggiori derive, che la coscienza dei medici si rifiuti di collaborare ad atti che cagionano la morte, che la medicina palliativa e la terapia del dolore sia davvero diffusa su tutto il territorio nazionale, che si rinforzino autentici legami e relazioni di autentica solidarietà, perché come abbiamo detto tante volte la morte si accetta e non si cagiona. Questa è civiltà”.
(in collaborazione con Redattore Sociale)