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Accesso alle cure: diritto di tutti?

Siamo esseri umani. E, in quanto tali, tutti noi possiamo pretendere una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale. È il diritto alla salute, riconosciuto e codificato dalla nostra Costituzione all’articolo 32. Come però, purtroppo, spesso accade, nel passaggio dal diritto scritto alla sua applicazione concreta si possono presentare problematiche, intoppi a livello pratico, tali da non rendere efficace il contenuto delle norme. Per il diritto alla salute, si pensi ad esempio ai casi delle persone senza fissa dimora: privi di documenti o di residenza anagrafica, diventa difficile per loro l’accesso alle cure. O agli stranieri in Italia senza valido titolo di soggiorno, che non sono iscrivibili al Servizio Sanitario Nazionale.

Proprio di questi argomenti si è parlato a Rimini nel convegno Il diritto alla salute delle persone senza fissa dimora – Accesso alle cure, un diritto per tutti?, organizzato dallo Sportello di Rimini di Avvocato di Strada Onlus, l’associazione che da 20 anni fornisce assistenza legale gratuita a chi è senza fissa dimora. All’evento è intervenuto Angelo Masi, medico dell’Ausl Romagna che ha raccontato un’esperienza emblematica, tutta riminese: quella dell’Ambulatorio Extra CEE.

Dottor Masi, che cos’è l’Ambulatorio Extra CEE?
“È un servizio di assistenza sanitaria rivolto a coloro che provengono da Paesi che non appartengono all’Unione Europea e che, non essendo in regola con le norme relative al soggiorno, non hanno diritto all’iscrizione al servizio sanitario nazionale. Mi occupo di questo servizio da diversi anni, dal 1999, e nel frattempo la sua utilità si è amplificata, vista la recente situazione legata alle migrazioni”.

Come nasce questa esperienza?
“L’ambulatorio nasce circa 20 anni fa, nel 1998, quando su intuizione di don Oreste Benzi era stato aperto un punto di accoglienza nell’ambito della Comunità Papa Giovanni XXIII. Si trattava di un ambulatorio, situato nella casa privata di un membro della Comunità, che era legato all’esperienza dell’associazione Luce Accesa, che si occupava di assistenza. Nel frattempo, in quegli anni, lo Stato era intervenuto sul tema, con norme che disciplinavano proprio l’assistenza per tutti coloro che, per diversi motivi, non potevano essere iscritti al servizio sanitario e quindi accedere alle cure. E così, in questo contesto, alcuni medici cominciarono a collaborare con questo nuovo ambulatorio. E, ci tengo a sottolinearlo, tutto questo veniva fatto con la volontà precisa di non denunciare alle autorità la presenza dei pazienti. Erano clandestini e, praticamente, si procedeva alle cure in segreto. Questo può dare adito a polemiche, ma ha una duplice valenza”.

Quale?
“Da una parte ci permette di procedere all’assistenza sanitaria per tutti i soggetti che si presentano in stato di bisogno, perché il pericolo di denuncia scoraggerebbe i pazienti a rivolgersi a noi, impedendo le cure di cui necessitano. E dall’altra c’è un vantaggio per tutta la salute pubblica, perché se queste persone non fossero assistite dall’Ambulatorio Extra CEE molte malattie, anche pericolose, sarebbero maggiormente diffuse”.

Arrivando a oggi, qual è il ruolo dell’azienda Ausl in questa esperienza?
“L’Ausl, di cui faccio parte, ha fornito i locali, permettendo col tempo all’Ambulatorio di allargarsi e ingrandirsi. Personale infermieristico in modo stabile, fisso, utile non solo per le ovvie funzioni infermieristiche, ma anche per la raccolta di dati, o comunque per la generale assistenza e il supporto ai medici volontari. Infine, l’Ausl ha fornito un medico convenzionato, pagato e messo a disposizione dell’Ambulatorio e, importantissimo, un servizio di mediazione culturale”.

Di che si tratta?
“Non è, come si può pensare, un semplice servizio di traduzione. Certamente c’è anche questo, che è fondamentale per i pazienti stranieri, ma l’attività dei mediatori culturali impegnati nell’Ambulatorio è di accoglienza a tutto tondo. Accoglienza che si sostanzia anche nel seguire i pazienti nelle pratiche burocratiche da espletare, senza doverli mandare negli uffici amministrativi, con tutte le difficoltà connesse. Un’attività preziosissima, che porta a una umanizzazione dell’assistenza”.

Nello specifico, in cosa consiste il percorso assistenziale realizzato dall’Ambulatorio?
“Innanzitutto, va premesso che oltre alla sede centrale dell’Ambulatorio si affianca a questo servizio anche un consultorio, grazie al quale è possibile realizzare tutti quei servizi legati alla maternità, alla ginecologia e all’assistenza pediatrica. Per quanto riguarda l’Ambulatorio, si tratta di tutti i servizi di medicina di base, non abbiamo la pretesa di essere una realtà specialistica. Il paziente si presenta spontaneamente, racconta la propria situazione al medico grazie al mediatore culturale, e così comincia un percorso clinico ordinario: visite, prescrizione di farmaci, ECG, prelievi e iniezioni, fino ad arrivare alla diagnosi e alla compilazione di una cartella clinica. Infine occorre citare l’Ambulatorio pneumotisiologico che, sempre a carico dell’Ausl, rappresenta un intervento di secondo livello, specializzato nell’assistenza di tutti coloro che hanno, o si sospetta abbiano, malattie tubercolari”.

Quali le patologie più frequenti riscontrate? E da quali Paesi provengono prevalentemente i pazienti?
“Incontriamo soprattutto pazienti che soffrono di malattie respiratorie (acute e croniche), cardiologiche, diabete, patologie oncologiche (anche avanzate), dermatologiche, psichiatriche, oculistiche e, collaborando con il SerT, anche quelle legate alla tossicodipendenza. Dal punto di vista della provenienza, incontriamo soprattutto pazienti di Paesi dell’Est Europa, come Ucraina, Albania e Romania, tra i 14 e i 79 anni, praticamente tutte le fasce d’età. In generale, le aree più rappresentate sono Est Europa, Asia e Sud America”.

Per concludere: quali le prospettive future?
“Innanzitutto occorre sottolineare che l’esperienza dell’Ambulatorio è oggi molto valida: negli ultimi quattro anni siamo passati dalle 931 visite del 2014 alle oltre 1.400 del 2018, quindi è una realtà che procede sempre bene. Però, ovviamente, non tutto è perfetto. Alcuni degli elementi che ci permetterebbero di migliorare ancora di più il servizio sono l’informatizzazione delle cartelle cliniche, poiché al momento non abbiamo un software dedicato, e questo ci darebbe anche la possibilità di procedere con le ricette elettroniche. Inoltre sarebbe molto utile avere un’assistenza integrativa, una odontoiatrica (poiché per la legge noi possiamo solo realizzare assistenza sanitaria considerata d’urgenza) e, ovviamente, collaborare sempre di più con altri enti di volontariato”.