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Tornare a scuola, senza pregiudizi

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C’è un ragazzo di quindici anni che non va bene a scuola. Prova a frequentare un anno di superiori, magari due. Cambia persino indirizzo di studi ma la vita dietro ai banchi proprio non la sente sua. Troppo giovane per andare a lavorare; lo Stato lo obbliga a formarsi ancora un po’. E così vengono in soccorso istituti ‘speciali’ per la formazione professionale che si occupano di raccogliere chi scappa dalle maglie dell’istruzione ordinaria. Nel 2012, su circa 600 dispersi, 500 frequentavano queste scuole. Artigiani, addetti alle vendite, operatori turistici, amministrazione. Gli altri cento erano quelli più a rischio. Tra i tanti corsi quelli dell’associazione OSFIN, con sede a Marina centro, a Rimini, sono particolarmente apprezzati. Circa un terzo dei suoi studenti, infatti, decide di tornare a scuola.

“Su una classe di 10-15 alunni, lo fanno in 5. – commenta il direttore della scuola, Italo Sberlati – Per noi è un successo. Quando vengono qui odiano la scuola e la sola idea dei banchi in fila provoca in loro repulsione. Poi stanno due anni con noi, vengono stimolati con tecniche educative alternative, più pratiche, e riscoprono il piacere dell’apprendere. Riusciamo a rimarginare una ferita”.

Motivo per cui la scuola dovrebbe essere grata a realtà come questa per la capacità di instillare nuova curiosità nel giovane. Eppure – a detta dello staff di OSFIN – il pregiudizio nei confronti di quanti escono da un percorso di formazione professionale è ancora palpabile.
“Tutt’ora i nostri studenti che decidono di tornare a scuola, incontrano il pregiudizio della gente, persino di certi insegnanti. Non di tutti, beninteso. Però è un sentimento ancora diffuso. Un tempo si usava dire di uno studente riminese con scarsi risultati a scuola che era da Centro Zavatta (la scuola professionale più grande a Rimini, ndr). Un’offesa che se non aveva motivo di esistere allora, ne ha ancora di meno oggi”.

Come mai, direttore Sberlati?
“Tra i nostri studenti non c’è solo chi ha abbandonato la scuola per pigrizia. C’è chi viene da contesti familiari difficili, chi vive un disagio sociale, chi andava bene a scuola ma ricerca maggiore pratica. Sono ragazzi non solo in gamba, ma ricercatissimi dalle aziende del nostro territorio”.

In che modo avete affinato le tecniche formative?
“Da noi i docenti vengono direttamente dal mondo del lavoro, dal settore per cui insegnano. Le lezioni non sono quasi mai frontali. Ci sono aule con computer di ultima generazione e laboratori di simulazione aziendale. Si impara facendo. Le discipline vengono insegnate attraverso l’applicazione pratica: l’algebra per mezzo del calcolo delle rotte marine; la matematica attraverso la musica; l’italiano col teatro; l’economia con la vela. In questo modo si convoglia l’interesse dei ragazzi anche sulle materie più rigide”.

La crisi come ha segnato la vostra realtà?
“I nostri ragazzi sono scoraggiati se pensano al lavoro, seppure con noi vedano il mondo aziendale più da vicino svolgendo trecento ore di tirocinio. Sono cambiate, poi, le esigenze del mercato del lavoro. Le imprese richiedono profili professionali più duttili. Bisogna avere la mente aperta ed essere pronti alle varie esigenze dell’azienda. Servono persone orientate, posate e serie”.

Chi trova lavoro più facilmente?
“Dei nostri profili, chi si diploma in ambito amministrativo e in marketing ha più continuità nel lavoro. Abbiamo preparato ragazzi assunti dalla grande distribuzione che, partiti dal gradino più basso, occupano oggi ruoli dirigenziali”.

Riuscite ancora a garantire il 70 per cento di impiego dopo la formazione?
“I tempi sono cambiati e la Regione, che monitora il nostro operato, ha abbassato la soglia minima di studenti che devono trovare lavoro dopo la formazione IeFP. Tale percentuale comprende oggi anche i ragazzi che decidono di tornare a scuola”.

Quanto vengono seguiti i ragazzi dalle famiglie?
“Alcune sono distratte. Lo scombussolamento sociale di questi anni si ripercuote anche nel rapporto scuola-famiglia. Ci sono genitori che, presi forse da altro, non seguono a dovere il percorso educativo dei propri figli”.

Mirco Paganelli