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Vogliamo un gigante nel nostro mare?

Tra le realtà del territorio maggiormente critiche nei confronti del progetto di impianto eolico offshore a Rimini è l’associazione ambientalista Basta Plastica in Mare. Il professor Marco Zaoli (nella foto), architetto paesaggista, docente presso l’Università di Ferrara e consulente dell’associazione è intervenuto nel dibattito, confrontandosi anche con alcuni elementi presentati da Marco Affronte (articolo precedente).

Professor Zaoli, cosa contesta di questo progetto, nello specifico?

“Occorre una premessa fondamentale: io, e l’associazione Basta Plastica in Mare, siamo assolutamente favorevoli alle energie rinnovabili, che consideriamo la strada maestra da percorrere per risolvere i problemi portati dal ricaldamento atmosferico e dai cambiamenti climatici. Personalmente, poi, è addirittura dagli anni ’70 che sono un forte sostenitore delle energie rinnovabili, soprattutto di quella solare. Non è, dunque, l’eolico in sè il problema. Ciò che si contesta sono le caratteristiche del progetto presentato”.

Ci spieghi.

“L’impianto del progetto riminese presenta dimensioni notevolissime, unico in Italia, che impegnerebbe e privatizzerebbe circa 113 km quadrati di mare Adriatico fra Rimini e Cattolica. Una struttura di questo tipo avrà sicuramente un impatto molto forte sul territorio, sotto diversi punti di vista. Uno su tutti, quello sulla biodiversità: gli studi scientifici condotti in Europa sugli impianti eolici in mare, soprattutto nel Nord, davanti all’Inghilterra, alla Francia e alla Germania sono concordi nell’affermare che c’è una modifica della biodiversità. Nelle aree dove sorgono questi impianti, alcune specie crescono di numero o nuove specie si insediano, ma altre vengono compresse o costrette a spostarsi, e tutto questo è dovuto a un cambiamento del fondo marino, che da sabbioso tende a indurirsi. Questo effetto, dunque, ci sarà anche a Rimini, e occorre chiedersi: lo vogliamo oppure no?”.

Oltre all’impatto sul territorio, tra gli elementi maggiormente contestati di questo progetto c’è la modalità di presentazione, considerata molto rapida e senza un adeguato confronto con gli operatori locali, anche in relazione ad alcuni provvedimenti europei. Può fare chiarezza su questo punto?

“La direttiva europea 2014/89, recepita dall’Italia, impone agli Stati di pianificare gli usi delle proprie aree marine. Cosa si può fare, cosa no, cosa salvaguardare, ecc. Direttiva che scade nel marzo 2021, ma che la norma italiana che l’ha recepita ha anticipato al 31 dicembre 2020. Sempre a livello europeo, inoltre, c’è un altro provvedimento importante, la Strategia UE sulla biodiversità per il 2030: tra gli obiettivi di questo piano europeo vi è quello di salvaguardare e rendere zone protette almeno il 30% della superficie terrestre e marina del territorio dell’Unione Europea. È chiaro che questi provvedimenti renderebbero più arduo il percorso di realizzazione di questo mega-impianto eolico”.

In relazione alla direttiva sulla pianificazione dello spazio marittimo, però, come affermato anche da Affronte, c’è uno studio della Regione che individua alcune aree destinabili a impianti eolici, una delle quali è proprio quella individuata nel progetto di Rimini.

“Certamente, e questo non si discute. Il fatto, però, è che le aree idonee all’eolico prevedono la possibilità di impianti molto più piccoli: quello del progetto, per intenderci, è circa 10 volte più grande. Un vero e proprio maxi-impianto, che non possiamo che contestare”.

Non bisogna però dimenticare che quella dei cambiamenti climatici è un’emergenza già in atto da tempo. Da qualche parte, per trovare una soluzione, occorre pur partire. L’eolico non è la strada?

“Ripeto, non si vuole contestare l’eolico, ma questo impianto per come è stato pensato. Per quello che implica, è necessario un progetto fatto con saggezza. E mi dispiace dirlo, questo non è fatto con saggezza: è un impianto pensato da un’azienda privata, per motivi che uniscono finalità di pubblica utilità con evidenti interessi di tipo economico. Per questo è fondamentale un confronto con la collettività del territorio, in modo da indicare il giusto modo per realizzare un progetto del genere. Dopodiché, più in generale e per quanto riguarda il futuro dell’energia, io mi rifaccio a uno dei nostri più grandi saggi, il Premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia, che 20 anni fa disse che la soluzione energetica, soprattutto in Italia, è rappresentata dal solare sui tetti delle case. Questa è la direzione forte, a mio avviso, nella quale andare: tutti i nostri edifici autosufficienti grazie all’energia solare”.