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Una riforma che fa discutere

SANITÀ. Le novità del sistema emergenza-urgenza in regione suscitano perplessità, soprattutto per quanto riguarda i CAU. Il punto sulla situazione

La sanità è… agitata. Lo è a livello nazionale, con la cronaca delle ultime settimane focalizzata sul tema del trattamento pensionistico dei medici nel contesto della Legge di bilancio; e lo è anche a livello locale, in particolare per quanto riguarda il territorio emiliano-romagnolo, in cui è sempre più acceso il dibattito relativo alla riforma dell’emergenzaurgenza. Introdotta dalla Regione, la riforma è chiacchierata già da diversi mesi, entrando nel vivo proprio in queste ultime settimane dell’anno.

E portando con sé, di conseguenza, tutte le valutazioni del caso, soprattutto in merito alle criticità.

Facciamo il punto.

La riforma

Gli elementi cardine su cui la riforma dell’emergenza-urgenza si fonda sono i CAU, i Centri di Assistenza e Urgenza, un nuovo tipo di struttura sanitaria che si pone come obiettivo principale quello di dare risposta alla gran parte dei bisogni e delle urgenze a bassa complessità clinica e assistenziale, in modo da togliere pressione ai Pronto Soccorso, con tutti i vantaggi del caso in termini di tempistiche di attesa e ritmi di lavoro del personale sanitario. Queste strutture, nello specifico, saranno distribuite in modo capillare sul territorio (una volta a regime, almeno una per ogni Distretto sanitario) e, secondo quanto previsto, gestite da equipe medico-infermieristiche appositamente formate e operative 24 ore su 24 7 giorni su 7. Come detto, inoltre, la riforma prende forma in modo particolare proprio in questa fase finale del 2023, in cui è prevista l’attivazione dei primi 30 CAU sul territorio regionale, di cui 3 nella provincia di Rimini, a Cattolica, Santarcangelo e Novafeltria.

Le criticità

Ma con il concretizzarsi di queste novità, prendono forma anche le critiche, in particolare da parte dei medici. A fare un quadro della situazione è il dottor Corrado Paolizzi, medico di famiglia riminese. Innanzitutto – le sue parole – occorre premettere che non si tratta di una riforma che nasce in seno all’Ausl o alla Regione, ma si tratta di un progetto pensato a livello nazionale per rispondere a diversi problemi presenti oggi nella sanità e che è stato inviato all’Emilia-Romagna, regione tra le migliori dal punto di vista del sistema sanitario, per fare da apripista. Ma ciò che è stato elaborato presenta diverse criticità. In primo luogo: i CAU sono strutture che hanno delle regole di ingaggio ben precise e sono pensate per far fronte a patologie che già trovano o dovrebbero trovare risposta negli ambulatori di medicina generale e della Guardia medica.

Patologie, dunque, sovrapponibili, con differenze importanti per quanto riguarda l’approccio: i CAU, infatti, sono stati presentati come dei pronto soccorso dedicati alle urgenze di minore gravità, ma così non è, perché non sono dei pronto soccorso, bensì attività di medicina di base, ambulatoriali. Tutto questo rischia di far passare l’idea che anche l’attività di medicina di base, che rappresenta l’assistenza sul territorio, si debba svolgere seguendo la logica dei codici colore legati alla gravità (come avviene nei PS), che potrebbe essere una scelta non felice, perché se così fosse si perderebbe completamente la relazione personale, continuativa e di fiducia, che caratterizza i medici di base (e di Guardia medica) e i loro pazienti”. Il rischio, dunque, è quello di avere delle strutture che, nella sostanza, si occupano di prestazioni sovrapponibili a quelle già erogate dai medici di base e dalla Guardia medica, ma secondo un approccio da Pronto soccorso, che per sua natura non prevede una relazione stabile e costante con i pazienti. Ma non solo. Tra gli elementi maggiormente contestati c’è anche l’introduzione

di una centrale telefonica unica (116117) che, una volta attivata, rappresenterà il primo contatto per tutti coloro che hanno bisogno di assistenza sanitaria per situazioni non gravi. Ma che, secondo quanto previsto, sarà gestita da “laici”, ossia operatori non sanitari. “ È difficile immaginare – prosegue il dottor Paolizzi – operatori che non appartengono al personale sanitario che siano in grado di dare una risposta adeguata al telefono. Questo elemento, in particolare, suscita grande perplessità”. Ultimo, ma non certo per importanza, il tema della carenza (ormai cronica) dei medici.

Qualcuno, in questi CAU, ci deve lavorare, ma la carenza dei medici è sempre presente. – aggiunge il medico riminese – Così, ad oggi, l’idea è quella di ricollocare parte del personale della Guardia medica in queste strutture, rischiando di provocare, di fatto, un sottodimensionamento del loro organico, con tutte le conseguenze del caso. Sicuramente è un argomento estremamente ampio e di difficile trattazione che deve tener presente tante variabili: umane, economiche, gestionali ed altre, tutte da tener presente parimenti al fine di dare una prestazione migliore possibile al cittadino e ad un costo sostenibile”.

La protesta della Guardia medica

Prestazioni sovrapponibili e dirottamento del personale. Elementi che portano molti a sostenere che l’introduzione dei CAU porterà al graduale smantellamento della Guardia medica. Per tale motivo, a Rimini, decine di professionisti di questo servizio hanno scritto e firmato una lettera di protesta per esprimere le proprie forti perplessità in merito al nuovo sistema introdotto dalla riforma dell’emergenzaurgenza in Emilia-Romagna.

Esprimiamo indignazione per i piani di forte ridimensionamento che si prospettano. – si legge nel documento – Un disegno irrispettoso dei pazienti, dei medici coinvolti e dei Livelli Essenziali di Assistenza e che si configura quale vero e proprio smantellamento del servizio, così come conosciuto da più di 30 anni.

Vogliamo evidenziare che nell’anno precedente i servizi erogati dalla sola Guardia medica della provincia di Rimini constano di 33.500 consulti telefonici, 7.468 visite ambulatoriali e 4.584 visite domiciliari (dati ufficiali Ausl Romagna 2022). Chi svolgerà in futuro questa imponente e complessa attività? Nel corso del tempo, abbiamo instaurato un rapporto di fiducia e professionalità con gli assistiti, rappresentando per loro un punto di riferimento sicuro e stabile, per cui siamo fortemente contrari a snaturare la nostra figura per trasformarla, come si vorrebbe, in medico dei CAU, con competenze prettamente internistiche, tramite un breve e insufficiente corso di aggiornamento”.