Home Storia e Storie Un secolo di agricoltura ‘alla romagnola’

Un secolo di agricoltura ‘alla romagnola’

Pochi mesi fa, alla fine di ottobre, Confagricoltura di Forlì-Cesena e Rimini ha celebrato i 100 anni della propria fondazione. Un traguardo che non può non essere sottolineato, vista l’importanza che il settore agricolo, nel corso delle varie epoche che hanno attraversato questo secolo, ha ricoperto e continua a ricoprire in Romagna. E, infatti, non è passato inosservato. Per l’occasione è stato presentato il libro 100 anni di Confagricoltura di Forlì-Cesena e di Rimini.

Storia di impresa, innovazione e territorio, di Letizia Magnani, giornalista romagnola che lavora anche come responsabile dell’ufficio stampa e della comunicazione proprio di Confagricoltura ForlìCesena e Rimini: il volume (Panozzo Editore, 2020) racconta attraverso un ricco resoconto storico, impreziosito da documenti e corredo fotografico, una storia di lavoro, dignità, successi e fallimenti del mondo degli agricoltori del nostro territorio, puntando i riflettori su oltre un secolo di cambiamenti di un’area produttiva importante per l’economia locale, che fonda le sue radici proprio nell’agricoltura. Ed è proprio dalle radici che occorre partire, per capire dove si è ora e programmare il futuro: il volume si apre con le origini di Confagricoltura, a livello nazionale e locale, guardando a quella Provincia di Forlì che all’epoca comprendeva anche la nostra Rimini.

Si riportano alcuni estratti di quel capitolo, che permettono di riavvolgere le lancette dell’orologio e scoprire una Romagna di circa 100 anni fa.

“Fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento in tutta Europa nasce la necessità di regolamentare il settore primario.

L’agricoltura diventa improvvisamente un’emergenza, un argomento da caffè e da giornali, ma anche un tema di sviluppo. È proprio l’organizzazione a tener banco in quegli anni. Da oltre Oceano, dalle Americhe, ma anche dalla Russia, arrivano ingenti quantitativi di cereali e di vino a basso prezzo. Là, in quell’altrove lontano, per molti aspetti ancora ignoto, hanno messo a coltura ampie estensioni di terreno, migliorato le tecniche agronomiche e già si parla di chimica, di fitofarmaci, di innovazione tecnologica. Le grandi navi da crociera fanno la spola fra il Vecchio e il Nuovo mondo, cariche di persone, alla ricerca di una vita diversa, all’andata, dall’Europa all’America e di cereali e vino al ritorno. Non è un caso che nascano, in quegli anni, le prime associazioni di nobili e di proprietari terrieri: sono ‘uomini nuovi’, con grandi proprietà, spesso una carriera militare o le scuole ‘alte’ alle spalle – sono avvocati, medici, notai, professori – e rappresentano il meglio della società di quell’Europa che, nella Bella Epoque, vive i propri anni migliori, prima di sprofondare nell’orrore della Grande Guerra. Nascono, in quel volgere di tempo, anche i Ministeri dell’Agricoltura: nel 1878 in Italia, nel 1881 in Francia. Negli stessi anni, i proprietari terrieri, gli agrari, oggi diremo gli agricoltori, si uniscono. Di fronte alla sfida economica e commerciale americana e russa, sentono, infatti, l’esigenza di fare fronte comune. Avviene nel giro di una manciata di anni ovunque: dalla Francia, nel 1867, alla Gran Bretagna, nel 1880, passando per la Germania, nel 1893 e per l’Italia, nel 1895. L’esigenza è quella di organizzarsi per difendere i propri interessi in modo nuovo, scrive Arcangelo Mafrici, in Storia della Confagricoltura dalle origini ai giorni nostri «agendo come gruppo di interesse, come lobby, nei confronti dei parlamentai e dei governi nazionali».

È in quel contesto, nella grande depressione degli anni Ottanta dell’Ottocento, che nasce in tutta Europa l’associazionismo agricolo.

Associazionismo che è subito di stampo lobbista, sindacale e assistenzialista.

Nel giro di due decenni vedono infatti la luce i sindacati, le casse mutue, le organizzazioni di impostazione corporativista. L’Italia è ancora una nazione fragile, con i piedi di argilla e un’Unità che è più teorica che effettiva, con più centri culturali e politici sparsi per lo Stivale, è quindi naturale, quasi ovvio, che siano i territori, le province italiane, a partorire, prima di Roma, organizzazioni e associazioni, sindacati e partiti”.

Nella Provincia di Forlì “Anche nella Provincia di Forlì, a Cesena, Forlì, Rimini e nei centri minori si respira lo stesso fermento.

L’esigenza è quella di unirsi per fare cartello, lobby, per difendere i propri interessi e il valore della terra.

L’esigenza è diffusa e il sentimento collettivo. Le prime organizzazioni degli agricoltori a carattere nazionale nascono, infatti, a cavallo del secolo, fra l’Otto e il Novecento: la Società degli Agricoltori Italiani (SAI) vede la luce a Roma nel 1895, come gruppo di interesse; la Confederazione nazionale agraria ha il suo avvio a Bologna nel 1910, come sindacato di resistenza. La Confederazione nazionale agraria di Bologna, la prima associazione agraria di resistenza con un vasto ambito territoriale, fu preceduta, soprattutto al nord, da alcune esperienze associative analoghe. […] Il 26 maggio del 1919 un numero importante di agricoltori romagnoli si incontrarono a Forlì per fondare la SAI – Società degli Agricoltori Italiani, Sezione Provinciale di Forlì, che si ispira, nei valori e nell’organizzazione, all’associazione di livello nazionale. La provenienza di questi illuminati agricoltori spazia da Rimini a Forlì, passando per Cesena, per la pianura, ma anche per la collina e la montagna, per le vallate di questo territorio ampio, ricco e bellissimo. Un territorio unico, unito, eppure molto diverso, nelle colture e nelle sfumature di culture, eppure tutti hanno la medesima esigenza: unirsi per meglio definire gli spazi di agibilità dell’agricoltura come impresa; unirsi per meglio organizzare le forme di lavoro e sviluppo delle imprese e del territorio; unirsi per salvaguardare quella pianura, quella collina, quella montagna, per renderle più dolci, aggraziate, meno aspre, meno dure, per riuscire a migliorare la vita per sé e per i lavoratori della terra. Un esempio quello forlivese che verrà seguito anche a Roma, solo un anno dopo, nel 1920. Una realtà, quella di Confagricoltura, con i nomi diversi che l’associazione assumerà nel corso degli anni, che fa del localismo e del legame debole caratteristiche fondative, importanti, originarie e, seppur con qualche cambiamento, ancora attuali. L’indipendenza della Provincia è un valore, se non assoluto, comunque molto importante, bacino dal quale attingere, nel corso dei decenni, i migliori dirigenti, tecnici e candidati alle cariche politiche territoriali e nazionali, persone competenti, capaci, oneste, rette. Nonostante Confagricoltura si professi da sempre e per sempre apolitica e apartitica, non va sottostimato il peso di quei primi fondatori, dei soci e dei dirigenti dell’organizzazione, negli assetti territoriali e nazionali. Confagricoltura quindi come realtà associativa in grado di fare lobby e di esprimere classe dirigente. Tanto che l’organizzazione attraversa ogni fase storica e politica, essendone protagonista”.