Ore 2 di mercoledì 18 aprile. Passeggiata degli artisti, San Giuliano. Makha Niang, 26 anni, senegalese, lavapiatti, con regolare permesso di soggiorno, viene raggiunto da due colpi di pistola e cade a terra. Passano 45 minuti prima che scatti l’allarme: qualcuno transitando da quelle parti vede il corpo del ragazzo e avvisa le forze dell’ordine. Un assassinio in piena regola al quale, però, ancora oggi, non si riesce a dare una motivazione. Tanto che gli investigatori dicono di «indagare a 360 gradi», formula diplomatica usata per dire che si sta brancolando nel buio. L’unica cosa che si sa è che fino alle 22.30 Makha era stato in compagnia di due amici per poi inforcare la sua bici e andare incontro al suo tragico destino. Il professor Giuseppe Fortuni, che ha effettuato l’autopsia, ha confermato che sono due i colpi che hanno raggiunto il 26enne. L’ogiva mortale ha colpito il braccio sinistro, ha spaccato in due il pericardio ed è uscita dalla spalla opposta. Il cuore, ferito, ha provocato un’emorragia interna che lo ha ucciso in pochi secondi. La seconda pallottola, invece, gli ha spezzato in due la caviglia della gamba destra che, molto probabilmente, aveva accavallata mentre si trovava seduto sulla panchina con il cellulare in mano. Ad alimentare il giallo c’è l’arresto di due albanesi a pochi metri dal delitto, fermati su un Suv nero. Ai due sono state trovate addosso anche delle pistole che, però, non sono compatibili con i bossoli esplosi sul senegalese. Un testimone, però, dice di aver sentito il rumore di due spari e poi di aver visto sgommare una macchina che assomiglia molto a quella dei due albanesi. C’è poi di mezzo una donna, l’ultima persona alla quale Niang aveva effettuato una chiamata. Forse il fatto che i due avessero delle frequentazioni non piaceva a qualcuno? L’unica cosa certa è che al momento di andare in stampa, ancora ogni scenario è aperto.
Francesco Barone