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Rimini, l’ennesima rinascita

TERREMOTO. La drammatica cronaca del sisma che sta piegando il Giappone riporta alla mente la ‘nostra’ tragedia del 1916. Un evento disastroso, ma dal quale i riminesi seppero rialzarsi contando (quasi) solo su loro stessi. Il ricordo

Le immagini del terribile terremoto che lo scorso 1° gennaio ha piegato il Giappone colpiscono anche noi, nonostante l’enorme distanza che ci separa dal mondo nipponico, sotto tanti punti di vista. Un sisma talmente intenso (magnitudo 7,5) da ferire in profondità anche un Paese come quello giapponese, estremamente preparato e attrezzato per affrontare i terremoti, causando oltre 100 morti e 200 dispersi. Immagini forti, quelle che popolano i notiziari di questi giorni, e che hanno una risonanza particolare nel Riminese, anch’esso territorio che nella storia ha dovuto fare i conti con i terremoti e le loro devastanti conseguenze.

La cronaca, dunque, ci porta con la mente alla storia dei “nostri” eventi sismici, tra i quali spicca certamente per la particolare drammaticità quello del 16 agosto 1916, il cui ricordo è ancora indelebile nella memoria collettiva riminese. Un evento raccontato tante volte nei suoi aspetti distruttivi, ma che è importante ricordare nella sua componente costruttiva: quella dei riminesi che hanno saputo rialzarsi e rimettere in piedi se stessi e la città. Aspetti raccontati in modo dettagliato da Oreste Delucca, studioso ed esperto di storia locale che in occasione del centenario del sisma ricordò l’evento (con una ricerca diffusa dal portale d’informazione riminese chiamamicittà.it) sottolineando la grande forza che tutta la gente di Rimini dimostrò per rialzare la testa.

Un ricordo che riportiamo di seguito.

“All’indomani del terremoto che colpì Rimini il 16 agosto 1916, dopo l’iniziale sbandamento si avviò con organicità lo sgombero delle strade e il transennamento delle aree ove si temevano ulteriori crolli; al tempo stesso si riattivarono con tempestività i servizi essenziali: energia elettrica, telefono, poste e telegrafo, uffici pubblici, sportelli bancari, forno comunale e numerosi negozi, pur in condizioni precarie.

Naturalmente sul piano economico, oltre ai danni elencati finora, va messa in conto la fine anticipata della stagione balneare, in quanto il terremoto terrorizzò i villeggianti che affollarono ben presto i treni in partenza.

Ai primissimi ripari ottenuti grazie alle tende militari, fecero seguito gli aiuti materiali del Genio Civile, con cui si allestirono 882 baraccamenti di fortuna ( nella foto, dall’Archivio fotografico della Biblioteca Gambalunga) e 150 casette antisismiche.

Vennero inoltre presi in affitto 730 vani per dare alloggio temporaneo ai 4.174 senza tetto”.

Gli studi sul sisma

“Nel mentre ferveva la ricostruzione, la stampa locale, oltre a darne conto, si interrogava anche sulle cause dei terremoti e sulle possibilità di averne qualche preavviso, oltre che sul perché dei gravi danni subìti dai fabbricati. E tentava di fare raffronti coi fenomeni sismici dei secoli precedenti, per scoprirne le analogie e trarne qualche insegnamento.

Intervenivano nel dibattito anche esperti illustri, come il professor Luigi Palazzo, direttore generale dell’Ufficio Centrale dell’Osservatorio di Meteorologia e Geodinamica.

Costui affermava che le manifestazioni degli ultimi mesi non avevano avuto il medesimo epicentro; però i vari epicentri andavano individuati tutti in mare, a parecchi chilometri da Rimini. Pertanto la città apparteneva a una fascia sismica dove le scosse potevano raggiungere l’intensità dell’ottavo grado della scala Mercalli (come di fatto era avvenuto), ma non sarebbero mai arrivate al livello disastrosissimo del nono e decimo grado. Infine smentiva categoricamente

la diceria circa l’esistenza di un vulcano sotterraneo fra Rimini e Pesaro, affermando che i movimenti tellurici del 1916 appartenevano alla categoria dei terremoti tettonici o di assestamento e non avevano alcuna parentela con l’azione vulcanica. Della stessa opinione si era dichiarato anche padre Venanzio Vari, direttore dell’Osservatorio Meteorologico di Benevento, giunto appositamente a Rimini per una ispezione, il quale aveva attentamente esaminato gli effetti del sisma nella città e nel contado”.

Le responsabilità dell’edilizia

“Riguardo la spiccata vulnerabilità ai sismi del patrimonio edilizio riminese, lo specialista Mario Baratta, dopo avere svolto un’indagine accurata, dichiarava: ‘ Un esame circa i metodi usati per le costruzioni delle case chiarisce che il disastro di Rimini, più che alla forza distruttiva del terremoto, è dovuto a notevoli difetti di costruzione e di manutenzione degli edifizi. Nei più antichi e modesti predominano come elementi delle strutture murarie grossi ciottoli collegati da malte abbondanti, che però si possono giudicare di qualità scadentissima. I tetti in genere sono pesanti e spingenti sopra i muri perimetrali: mancano quasi ovunque chiavi che garantiscano un efficace collegamento fra le diverse parti delle costruzioni. Bastano questi semplici accertamenti per metterci sull’avviso che case sì fatte hanno condizioni strutturali tutt’altro che atte a resistere a violenti concussioni del suolo’.”

La ricostruzione

“L’opera di ricostruzione fu veramente lunga e complessa in città: si dovettero alla fine demolire 615 fabbricati, puntellarne 229 e ripararne 2.112. Per fare fronte ai relativi oneri il Governo provvide ad assegnare 10 milioni di lire in favore dei danneggiati poveri di Rimini e Pesaro, per concorrere alle spese di demolizione o puntellamento, per i ricoveri provvisori dei senzatetto, per le riparazioni delle case lesionate, per la concessione di sussidi.

Inoltre dispose provvidenze per gli interventi relativi agli edifici pubblici, ivi compresa l’accensione di mutui a lungo termine finanziandone in tutto o in parte l’onere per interessi. Il Re offrì di suo la cifra di 100.000 lire; il Comitato di Assistenza Civile di Milano mise a disposizione la somma di 50.000 lire e cifre minori furono raccolte in una sottoscrizione fra privati. Gli aiuti economici ricevuti da Rimini furono certamente di qualche rilievo, ma non rapportati al bisogno. Occorre peraltro tenere presente che si era in guerra e le risorse scarseggiavano. Inoltre, non è nel costume dell’orgogliosa gente romagnola pietire con troppa insistenza l’aiuto altrui; così i Riminesi strinsero i denti e trovarono quasi soltanto in se stessi la forza di percorrere la via della resurrezione”.