Oltre il 70% degli italiani si dichiara infastidito da urla e volgarità che riempiono ormai i media nei dibattiti politici, ma anche nelle sedute di Parlamento e nei Consigli comunali. Qualcuno non ne può più e cambia canale, altri, semplicemente “spengono” ogni contatto con la politica e non vanno più a votare.
Il dibattito ormai non è più uno scambio di idee, ma una guerra fra persone, che fanno spesso riferimento come fosse una verità rivelata a notizie manomesse e ad algoritmi alterati. Eppure una buona educazione familiare e civica ci aveva, in tempi ormai lontani, insegnato che le idee si possono discutere, ma le persone si devono rispettare. Però l’insulto funziona, dà visibilità, produce titoli a tutta pagina, nutre lo spettacolo della politica, ma intanto erode la fiducia, mina le basi stesse di ogni convivenza democratica e sdogana l’odio.
Non sono ragionamenti di persone sensibili e infastidite, ma dati del progetto europeo “Politica senza fair play”, presentato la settimana scorsa frutto di una ricerca di tre atenei (Cattolica di Milano, Sapienza di Roma e Università di Urbino “Carlo Bo”) sulla percezione dell’inciviltà politica da parte di cittadini, politici e giornalisti italiani.
Il 73,6% del campione si dichiara fortemente infastidito da un politico che insulta, urla, offende. Ma il 16,7% degli italiani (1 su 6) considera accettabile l’inciviltà politica quando è “comunicativamente efficace”.
È un paradosso, perché oltre il 94% associa comunque l’inciviltà politica a conseguenze negative: disaffezione, sfiducia e polarizzazione. L’80%, infine, ammette che “fa male alla democrazia”, ma quando funziona, in termini di visibilità e consenso, viene giustificata.
Il quadro è ancora più allarmante se guardiamo ai giovani. Più di un terzo dei ragazzi fra i 18 e 24 anni, sono dati Istat, non si informa mai di politica e la violenza verbale è ormai considerata un atteggiamento normale, parte di un gioco aggressivo e corrotto, con cui giudicano il mondo delle istituzioni e in primis della politica.
Se i giovani guardano con diffidenza ai politici, occorre ricostruire fiducia; per questo servono coerenza fra parole e azioni, cosa che non sembra molto interessare la politica, votata più alla ricerca del consenso che ad affrontare i problemi veri della convivenza comune.
Certo anche ai giovani manca la volontà di informarsi. Immersi come sono in un oceano di dati, faticano a orientarsi anche quando desiderano farlo, ma spesso rispondono più a stimoli emotivi, che li portano lontani dai problemi reali.
Da parte dei protagonisti della cosa pubblica possiamo solo auspicare un dibattito meno urlato e più centrato sui contenuti.
La vera politica nasce dal desiderio di cambiare le cose e ci si augura che si vada in quella direzione, perché quando c’è conoscenza, le differenze arricchiscono; quando manca, restano solo urla e rifiuto dell’altro.

