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“Me ne faccio carico”

Don Lorenzo Milani insieme ai suoi studenti di Barbiana, foto di Oliviero Toscani (L'Espresso 1959)

Nel centenario della nascita, don Milani è stato molto ricordato per la Lettera a una professoressa, molto meno per la Lettera ai giudici, la sua opera più politica, conosciuta come “ L’obbedienza non è più una virtù”, il documento che scrisse in difesa degli obiettori di coscienza, imprigionati per la loro scelta. In realtà don Lorenzo va oltre la difesa degli obiettori; ciò che gli preme è la libertà dell’uomo, del cristiano, la libertà di usare il proprio cervello e la propria coscienza per decidere; l’ubbidienza non può più essere cieca; un ordine non può mai essere assoluto e insindacabile.

E quel documento fa emergere la sua figura di educatore anche nella sfera dell’etica e della politica. Un messaggio sempre attuale e ancor più attuale oggi, in un tempo che segna la crisi dei partiti e il disamore per come si intende la politica oggi. Può essere utile allora, a noi cristiani, ormai orfani di rappresentanza, rivedere quel che scriveva quel sacerdote, che filtrava ogni parola alla luce di un Vangelo, forte e radicale, a volte fustigatore, ma solo per spingere, sollecitandola, ad una crescita di coscienza e di consapevolezza. Quali le parole? La prima certamente è lo slogan dei giovani americani che fece suo, “ I care”, mi interessa, me ne faccio carico, che significa prendersi le proprie responsabilità di fronte alla realtà, contrapposto al fascista “ Me ne frego”.

L’insegnamento più grande è alla solidarietà, che implica nei fatti di prendere coscienza di una condizione, di un problema, elaborare proposte per raggiungere attraverso l’impegno personale e collettivo, l’obiettivo di “ uscirne insieme” (come amava scrivere). La politica dunque intesa come servizio per il prossimo. E il “prossimo” per don Milani, è una categoria evangelica che rimanda al comandamento dell’amore e supera dunque il concetto di classe, che è ideologico e divisivo.

Il “prossimo evangelico” impedisce di dividere l’umanità in due categorie, perché tutti noi siamo spesso contemporaneamente oppressi ed oppressori. Ma ciò non evitava di fargli denunciare la differenza fra oppressi e oppressori.

Rivolto ai cappellani militari che invocavano una patria come divisione del mondo fra italiani e stranieri rispondeva: “ Nel vostro senso io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri stranieri”. Sui diritti era consapevole che possono anche diventare privilegi, se a beneficiarne è una minoranza elitaria o quando il suo costo è scaricato su di un prossimo più povero ed emarginato. E ancora: niente demagogia, ad ogni diritto corrisponde un dovere, no a interessi corporativi e al clintelismo… L’obiettivo di don Milani era accompagnare la persona ad un’assunzione di responsabilità.

Rimboccarsi le maniche per cambiare il sistema e non aspettare che il sistema cambi noi. Ce n’è per cominciare una nuova e bella riflessione sulla politica anche, ma non solo, nel mondo cattolico.