135 ANNI FA. Nella primavera del 1890 il sottotenente di vascello riminese Carlo Zavagli veniva ucciso dagli abitanti del villaggio somalo di Warsheik. La ricostruzione della vicenda nel contesto storico del colonialismo di fine ’800
In queste settimane ricorre un amaro anniversario: la drammatica e violenta morte del riminese Carlo Zavagli, sottotenente di vascello, assassinato in Somalia. Il 24 aprile del 1890, infatti, l’ufficiale riminese si trovava impegnato sulle coste somale in una missione diplomatica nel contesto coloniale italiano in Africa orientale a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando fu assassinato assieme ad altri membri dell’equipaggio in una violenta imboscata nei pressi del villaggio di Warsheik, ad opera di un gruppo appartenente alla popolazione locale. Un dramma, dalle cause ancora non del tutto chiare, che diventa rilevante non solo per l’ovvio aspetto umano, ma anche come occasione di analisi del contesto storico teatro della vicenda, che è possibile scoprire grazie alle ricostruzioni di Rivista marittima (Anno XXIII, secondo trimestre 1890), riportate anche dal portale d’informazione riminese chiamamicittà.it.
Di seguito alcuni estratti.
“Carlo Zavagli nasce a Rimini dal Conte Gomberto e dalla Contessa Luisa il 16 marzo 1867.
Frequenta gli studi ginnasiali in collegio a Firenze, poi a Genova, in vista dell’esame di ammissione all’Accademia Navale di Livorno. La sua passione è infatti il mare e il suo sogno è di arruolarsi nella Regia Marina. Un problema di salute lo costringe a rinviare l’esame e nel frattempo si specializza all’Istituto nautico di Rimini. Entra in Accademia nell’ottobre 1882. Nelle crociere di istruzione tocca Gibilterra, Grecia, Tripoli e il Canale di Suez.
Nel 1887 consegue il grado di Guardiamarina e viene imbarcato sulla pirofregata corazzata San Martino. L’anno successivo è promosso a Sottotenente di Vascello, passa poi sulle Regie Navi Ruggero di Lauria e Caio Duilio”.
La missione
“Nel 1890 è a bordo del piroscafo Volta (Capitano il nobile catanese Giuseppe Amari di S. Adriano) ‘ con il compito di scortare fino a Massaua la delegazione di emissari dell’Imperatore d’Etiopia, reduci da una visita in Italia per ammirarne le grandezze e riportare al Negus i doni del Re’. In realtà si è trattato di una delicata missione diplomatica, guidata da Ras Makonnen, cugino del Negus Neghest (“re dei re”, ovvero l’imperatore d’Etiopia) Menelik, i cui dettagli vengono forniti da Indro Montanelli ne L’Italia unita (Bur): la delegazione abissina riparte da Roma con ‘ un prestito di quattro milioni e un orribile quadro commissionato apposta non so a quale pittore di Corte, che rappresentava l’Ascensione al cielo di Gesù, contornato dal Re, dalla Regina e dal massone Crispi in ginocchio a mani giunte’.
E soprattutto con la firma di re Umberto I sul ‘trattato di Uccialli’: un documento controverso, con differenze fra la versione italiana e quella aramaica sul fatto che l’Etiopia accettasse o meno il protettorato italiano; differenze che di lì a poco portarono alla guerra e al disastro di Adua.
Ma intanto, oltre al prestito, il Negus riceve una cospicua fornitura di armi”.
Le uccisioni
“In un articolo di Gaetano Rossi su Ariminum (gennaiofebbraio 2007), le morti di Carlo Zavagli e del marinaio di terza classe Angelo Bertorello vengono rievocate nei minimi dettagli: Medaglia d’argento al valore militare spirò col nome dell’Italia sulle labbra sottotenente di vascello morì in un’imboscata nei pressi di Zanzibar dopo aver ordinato di salvare l’imbarcazione.
‘ Giunti ad Aden – scrive Rossi – il Volta salpò per Zanzibar, costeggiando la costa somala per portare doni alle tribù locali e profondervi cortesie, visto che in quei giorni l’Italia aveva accettato dalla Compagnia inglese dell’Africa Orientale il protettorato di quella costa da Capo Guardafui al fiume Giuba e occorreva quindi ingraziarsi quelle popolazioni’. Si inizia così a chiarire a quale ‘ missione di pace e di civiltà’ alludesse La Rivista marittima. A Zanzibar arriva l’ordine ‘ di rientrare via Mar Rosso costeggiando nuovamente e a ritroso quelle coste, per toccare ancora altri porti inesplorati (anche se il termine ‘porto’, per l’epoca e i luoghi, era un puro eufemismo). La mattina del 24 il Volta si trovava all’altezza del porto di Warsheik, un misero villaggio abitato da poche centinaia di somali della tribù Abigal, diffidente e malfidata, protetto da scogli e dune di sabbia’.
Warsheik (traslitterato in una decina di altri modi fra cui Uarsceik, Uarsciek, Uaracek) era ed è un importante centro religioso Sufi, nonché capoluogo dell’omonimo distretto. È abitata dal popolo che gli Italiani chiamano Auija (o Hawiye nella traslittarazione anglosassone) come la stessa Mogadiscio. Il Volta getta l’ancora a quattro miglia dalla costa. ‘ Il Comandante dispose di armare una barca a vapore spedendola verso riva al comando del Sottotenente Zavagli, con istruzione di cercare un abboccamento con il capo locale per manifestare le intenzioni amichevoli dell’equipaggio procurando di offrire doni per i capi e per la popolazione’. Con Zavagli ci sono il sottonocchiere Angelo Bertolucci, il marinaio
di 3° classe Angelo Bertorello, il macchinista di 3° classe Alfredo Simoni, il fuochista di 2° classe Giuseppe Gorini, il 2° capo timoniere Giovanni Gonnella e l’interprete arabo Said Achmed. Cosa sia successo da quel momento in poi lo sappiamo solo dalla relazione al Re del ministro Brin, nel sollecitare le onorificenze poi concesse.
Secondo questa versione, si sarebbe trattato di una vera imboscata, scatenata a tradimento da un segnale del capo villaggio contro i tre italiani che erano sbarcati disarmati. Zavagli viene ferito subito e muore sulla barca che sta cercando precipitosamente di riprendere il largo mentre il resto dell’equipaggio spara all’impazzata per coprire la fuga. Bertorello è colpito mentre sta lavorando all’ancora: nonostante la ferita, per la quale morirà poco dopo, si getta in acqua a liberare l’elica dall’ormeggio in cui si era impigliata”.
Le ipotesi sull’accaduto
“Sappiamo che in quel periodo è in corso una lotta fra il Sultano Omanita di Zanzibar e Yusuf Ali Kenadid, Sultano di Obbia. Materia del contendere è proprio il controllo di Warsheik. Solo un’ipotesi, ma può darsi che l’aggressione agli Italiani sia rientrata in quel conflitto. D’altronde, quei Sultanati cercavano, fino a ottenerlo entrambi, il protettorato italiano per quell’area, ma sempre col fine di nuocersi a vicenda. A sua volta, Hamed Bin Thuwain, Sultano di Zanzibar, era controllato strettamente dagli Inglesi, che l’avevano rimesso sul trono dopo un tentativo di golpe da parte del nipote Sayyid Kahid ibn Bargash, sostenuto dai Tedeschi di Bismark. Fatto sta che la prima cosa che il presunto capo del villaggio chiede ai tre marinai è: ‘ Siete Tedeschi?’. E immediatamente dopo la loro risposta ‘ No, siamo Italiani e veniamo da Zanzibar, del cui Sultano siamo amici.
Siamo anche amici vostri, abbiamo doni per voi se volete venire sulla nave a prenderli’, il capo risponde che andrà a prendere una barca. Ma invece agita il turbante e da quel momento si scatena l’inferno.
Forse il villaggio in quel momento non era nelle mani di ‘amici’ di Zanzibar, ma della fazione opposta?”.