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Lo ‘scampo’ di Garibaldi

L’EROE IN ROMAGNA (1). Un libro racconta la marcia che il generale nizzardo compì nel 1849 dopo la caduta della Repubblica Romana. Diretto da Roma a Venezia, attraversò mezza Penisola, passando anche per il Riminese

È conosciuto come “scampo garibaldino”: si tratta della lunga ritirata attuata da Giuseppe Garibaldi nell’estate del 1849 quando, dopo la caduta della Repubblica Romana per mano dell’esercito francese, assieme a un nutrito gruppo di uomini partì dall’Urbe per raggiungere Venezia, attraversando gran parte della Penisola e, in questo modo, tentando di riaccendere i moti patriottici nell’Italia centrale.

Un viaggio difficile, pieno di insidie e in cui non sono mancate le tragedie (come quella della morte della moglie incinta, Anita) e che ha interessato da vicino anche il nostro territorio, con l’Eroe dei Due Mondi che ha attraversato diverse zone del Riminese e del Cesenate, passando per San Marino. Una presenza che è testimoniata da tradizioni e documenti, e che è stata ampiamente raccontata dallo scrittore Roberto Garattoni, nel suo libro Lo scampo di Garibaldi – La calda estate del 1849. Cronaca di una fuga e di una trafila solidale in terra di Romagna, pubblicato nel 2022 (Pazzini Editore), del quale riportiamo ampi estratti che riportano la vicenda e, nella prossima puntata, i suoi legami con il territorio riminese.

“Ai tremila irriducibili che la sera del 2 luglio 1849, dopo rifiutata la capitolazione in mano francese, abbandonavano Roma uscendo inquadrati da Porta San Giovanni, Garibaldi aveva promesso ancora guerra, ‘ fame, freddo, sete, non paghe, non munizioni, marce forzate e fazioni alla baionetta’.

Si apprestava ad attuare una manovra in ritirata, o una fuga relativamente ordinata nei ranghi, lunga un mese di tempo e una mezza penisola italiana di percorso, che per i suoi aspetti rocamboleschi e drammatici avrebbe offerto molta materia alle cronache, molti spunti alla letteratura, molte ragioni alla umana commozione e alla celebrazione patriottica. Come scrive il nostro commentatore di fine Ottocento Paolo Mastri: ‘ Quando la Repubblica Romana fu costretta a cessare la gloriosa difesa della Città Eterna, Garibaldi lasciò l’Urbe per compiere, con un manipolo di prodi, una ritirata degna di Senofonte’. O come si esprime nella stessa epoca il sammarinese Pietro Franciosi, citando anche un suo maestro: ‘ Scampato Garibaldi dall’assedio di Roma come un Achille invulnerabile dalle armi fatate, era passato con pochissimi soldati ‘come fulmine fra tre eserciti’, come ben disse il Carducci’.

Sul primo avvio, l’urgenza del generale nizzardo sconfitto ma niente affatto arreso, era di allontanarsi il più possibile dalla ‘città eterna’ nottetempo.

Poi di confondere le idee, riguardo alle intenzioni e alla direzione di marcia, nei tanti eserciti interessati alla sua cattura e convergenti da ogni parte: il francese, il napoletano dal sud, l’imperiale austriaco dal nord sul versante appenninico orientale, e quello degli Asburgo-Lorena sul versante occidentale. Nel suo procedere a zig zag, dapprima verso Tivoli, poi in direzione di Rieti, di Orvieto e di Arezzo, Garibaldi mostrava di inseguire anche un suo progetto illusorio, quello di sollevare dei moti insurrezionali là dove immaginava la presenza di esche propizie, come volendo seminare lungo il cammino le ultime fiaccole accese della Repubblica mazziniana, per un qualche improbabile ritorno di incendio anche più diffuso. Solo a Terni gli capitò di ricevere l’appoggio di un battaglione di volontari, organizzato dall’ex colonnello inglese Hug Forbes (che aveva una moglie di Siena), poi presente al suo fianco fino al passaggio nel nostro territorio per Cesenatico. Fu in effetti ad Arezzo, dove il gonfaloniere Antonio Guadagnoli addirittura gli aveva chiuse le porte e negate le forniture di viveri a pagamento, che il generale cambiò idea e programmi, immaginando di portarsi a sostenere Venezia, dove una repubblica esisteva e ancora resisteva, cercando un imbarco di fortuna o piratesco in Romagna. Il dettaglio delle località toccate

da Garibaldi e dai suoi, come ricostruito dal nostro Mastri, rende un po’ l’idea del percorso tortuoso, improvvisato secondo le opportunità e i calcoli di sicurezza del momento, su strade secondarie e poco battute: ‘ Il 4 luglio era a Tivoli, il 6 sul colle Pulcino in Valle Tenda, l’8 a Terni, il 10 a Cesi, l’11 a Todi, il 13 a Prodo, il 15 a Ficulle, il 16 a Salci, il 17 a Cetona, il 18 a Sartrano, il 19 a Sant’Albino. Il 20 arrivò a Montepulciano e a Torrita, il 21 a Foiano, da dove proseguì per Castel Fiorentino. Il 23 era sulla cima dello Scopatone, il 24 a Citerna, il 25 a San Giustino per Val Tiberina, il 28 a Mercatello e a S. Angelo in Vado’”. […]

Il gruppo e i personaggi coinvolti

“Sarebbero rimasti nella storia, fissati nella memoria e nel racconto anche popolare, soltanto i componenti della banda più ristretta, il pugno di fedelissimi destinati di lì a qualche giorno ad essere in buona parte catturati e fucilati: non solo quelli già largamente presenti nelle cronache come il cappellano militare ‘Padre Ugo’, al secolo Giuseppe Bassi di Cento di Ferrara, il noto predicatore barnabita, o il romano Angelo Brunetti detto Ciceruacchio, combattente e capo-popolo della breve stagione repubblicana intitolata ai nomi di Mazzini e Saffi; ma anche i meno noti Giovanni Livraghi detto Levré, milanese (e in quanto tale considerato suddito austriaco, fucilato come disertore), aggregato a una legione di Garibaldi fin dai tempi di Montevideo, come anche Giovan Battista Coliolo detto Leggero, un sardo originario della Maddalena; e poi il livornese capitano Andrea Sisco, il romano Gaetano Fraternali, il prete genovese don Stefano Ramorino, e infine gli stranieri, come l’inglese già citato Hug Forbes, accompagnato anche da un figlio, e lo svizzero tedesco Gustav Hoffstetter, in seguito autore di un memoriale dove fra l’altro, per l’aiuto e la protezione ricevuta, ringraziava in particolare alcuni savignanesi, non citati col nome ‘per non comprometterli’. Al culmine della vicenda, che la nostra gente avrebbe chiamato lo ‘scampo’ di Garibaldi, o anche la ‘trafila’ dei suoi salvatori, nella parte di tragedia più memorabile e patetica ci sarebbe stata l’ignobile fucilazione di Lorenzo, figlio tredicenne di Angelo Brunetti Ciceruacchio, nonché d’altro canto la morte straziante della donna dello stesso Garibaldi, Ana Ribeiro detta Anita, incinta di cinque mesi, deceduta di stenti e di ‘febbri perniciose’, ossia di malaria, nello squallore di un casolare contadino delle ‘valli’ ravennati. Fissati nella memoria popolare, uno per uno, e solennizzati poi con segnacoli, lapidi e cellette, anche i luoghi di campagna, di borgata o villaggio toccati dai fuggiaschi nei loro tortuosi itinerari per questa parte di Romagna. Assunti a notorietà gli uomini, le famiglie, le case che aiutarono, sfamarono, diedero rifugio, e soprattutto i patrioti di fatto (forse vecchi carbonai o contrabbandieri del sale, ma anche popolani comuni e giovani avventurosi che si scoprirono garibaldini di giornata) conoscitori palmo a palmo del territorio, che fecero da esploratori e segnalatori di giorno e ancor più venturosamente da guide di notte”. (1-continua…)