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La condanna della quarantena

Pochi mesi fa la vita di ognuno di noi è stata stravolta improvvisamente. Un nemico pressoché invisibile ci ha costretti, dal giorno alla notte, a un confinamento forzato nelle nostre case. E lì, in quelle quattro mura, abbiamo dovuto riadattare le nostre vite, cercando di trarre qualcosa di positivo da quella situazione. Qualcuno ci è riuscito: la quarantena, dopo il trauma iniziale, ha potuto rappresentare un nido sicuro, dando un senso di protezione nel quale ritrovare una qualche forma di serenità.

Purtroppo, però, per molti il lockdown ha rappresentato l’opposto, una doppia emergenza. Stiamo parlando di tutte quelle persone, soprattutto donne, che già da prima della pandemia sono state vittime di episodi di violenza domestica: aggressioni, stalking, pressione psicologica, tutte forme di abuso da parte di una persona vicina (un genitore, un compagno) subìte proprio nel nido di casa.

Situazioni che la convivenza forzata dovuta alla quarantena non può che estremizzare, acuendo sensibilmente i rischi e diminuendo in modo drastico le possibilità di denunciare o chiedere aiuto. Le istituzioni e i centri antiviolenza avevano lanciato l’allarme fin dall’inizio della quarantena: “ C’è il rischio che con il lockdown diminuiscano le denunce. Ma la violenza non si fermerà”. E così, purtroppo, è stato.

Il Report nazionale

La conferma arriva da uno studio del Ministero dell’Interno: il Report sulla violenza di genere e domestica durante la pandemia da Covid-19. L’indagine, che raccoglie i dati della Direzione centrale della Polizia criminale – Servizio analisi criminale, analizza i cosiddetti “reati spia”, ovvero specifici illeciti considerati indicatori della presenza di casi di violenza domestica, di genere e familiare (come stalking, maltrattamenti e violenze sessuali, oltre a minacce, lesioni personali e percosse).

Confrontando i dati del periodo gennaio-maggio 2020 con quelli del 2019, emerge una generale diminuzione delle denunce di violenza a marzo e aprile e un trend in risalita a maggio, con picchi che coincidono perfettamente con le riaperture della Fase 2 (4-18 maggio). Tradotto: emerge un fenomeno per il quale le vittime si sono trovate impossibilitate a chiedere aiuto nel momento più emergenziale della pandemia, per poi tornare a denunciare con il graduale ritorno alla normalità. Nello specifico, a marzo le denunce sono state 2.177 (un terzo in meno rispetto al 2019, 3.297), ad aprile 2.267 (un quarto in meno rispetto al 2019, 3.112) mentre a maggio, come detto, i numeri si rialzano: maltrattamenti in aumento rispetto al 2019 (1.598 rispetto a 1.519), atti persecutori sono in risalita ma comunque inferiori al 2019 (1.015 rispetto a 1.371) così come le violenze sessuali (241 denunce rispetto alle 367 di maggio 2019).

Un analogo focus sul tema, che ha portato a fotografare la stessa situazione, è quello realizzato dalla Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio e la violenza di genere, che ha approvato all’unanimità il documento “La violenza di genere nel periodo dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”. Anche da questo documento emerge un calo delle denunce nel periodo della cosiddetta Fase 1 della quarantena, e successivo aumento in concomitanza con la Fase 2, a maggio 2020.

Rimini ed Emilia-Romagna, lo stesso fenomeno

Purtroppo, anche restringendo la prospettiva in ambito più locale, la dinamica non cambia. A confermare il trend nazionale sono i dati del Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, che raccoglie in un’unica rete di sostegno 14 Centri antiviolenza in tutta la Regione, tra cui quello di Rimini gestito dall’associazione Rompi Il Silenzio Onlus. I dati, relativi agli accessi nei Centri nel trimestre marzo-maggio 2020, mostrano una diminuzione consistente nelle richieste d’aiuto rispetto allo stesso trimestre nel 2019. “ Una diminuzione che evidentemente non riflette un calo della violenza stessa, spiegano dal Coordinamento – ma piuttosto una maggiore difficoltà di accesso ad aiuto esterno durante il periodo pandemico. Il calo delle richieste, infatti, non ha riguardato unicamente i nuovi accessi ma, seppure in misura minore, anche quelli di donne in percorso già dagli anni precedenti”.

Nello specifico, i nuovi accessi ai Centri del Coordinamento nel trimestre marzo-maggio 2020 sono stati complessivamente 585, il 27% in meno rispetto al 2019 (806). “ Il dato complessivo risente del drastico calo che ha interessato il mese di marzo, quando le richieste erano scese del 53% rispetto a marzo 2019. Ad aprile e maggio il flusso è aumentato consistentemente, seppur senza colmare il divario con l’anno precedente”. Anche a livello regionale, dunque, si registra un aumento delle richieste di aiuto con l’avvicinarsi della graduale riapertura di inizio maggio. “ La presenza delle donne già seguite dai Centri antiviolenza è rimasta più stabile per tutto il periodo considerato, segnando un calo del 14% nel 2020 rispetto al trimestre marzo-maggio 2019. Considerando entrambi i gruppi – conclude l’analisi il Coordinamento – la diminuzione degli accessi nel periodo marzo-maggio 2020 rispetto allo stesso periodo nel 2019 è stata del 20%”.