Home Attualita Intelligenza artificiale: una macchina può pensare?

Intelligenza artificiale: una macchina può pensare?

IA (1). A Rimini il primo di due incontri con il professor Mario Alai, docente di Filosofia dell’Università di Urbino, per riflettere sulla natura e sulle nuove sfide di questa tecnologia

A Rimini si torna a trattare il tema che, con tutta probabilità, segnerà i dibattiti e le riflessioni etiche dei prossimi decenni: l’intelligenza artificiale. Pressoché tutti gli analisti e gli esperti sono concordi nel sostenere che ci troviamo all’inizio di un’epoca decisiva per gli sviluppi dell’IA, ormai nota a tutti grazie ai risultati strabilianti raggiunti in tempi rapidi negli ultimi anni. Un’epoca che, nel bene e nel male, ci presenta nuove sfide e nuove opportunità. Per indagarle e approfondirle, la Fondazione Igino Righetti di Rimini organizza “L’ intelligenza artificiale. Cos’è, come funziona e quali effetti produce”, due incontri in cui riflettere sul tema grazie all’importante contributo del professor Mario Alai (nella foto), docente di Epistemologia e di Filosofia del linguaggio all’Università di Urbino. Sviluppiamo la prima delle due conversazioni, in attesa della seconda, in programma lunedì 15 aprile.

Professore, cominciamo con il definire cosa sia l’intelligenza artificiale e, soprattutto, come sia possibile la sua esistenza.

“Per arrivare a questo occorre prima porsi un’altra domanda, ossia cosa sia e come sia possibile l’intelligenza naturale. E cioè: come può un oggetto fatto di materia, il cervello, svolgere funzioni come il pensare e il ragionare, che potremmo definire ‘spirituali’? Interrogativi come questo non sono certo nuovi, ma rientrano nell’ambito del tradizionale problema metafisico del rapporto tra anima/spirito e corpo.

Un problema al quale è stata data una plausibile soluzione di tipo naturalistico: se si concepisce la grande varietà dei compiti svolti dalla nostra intelligenza come un insieme di numerosi sotto-compiti sempre più semplici, si arriva a un punto in cui ogni compito è talmente elementare da poter essere svolto da elementi fatti di materia.

I neuroni, nel caso del cervello. Ecco, quindi, che l’intelligenza diventa il modo in cui sono organizzati questi componenti materiali elementari”.

Come può, questo, spiegare l’intelligenza artificiale?

“Partendo da ciò, è possibile realizzare un’intelligenza di tipo artificiale sostituendo in questo meccanismo i neuroni con componenti tecnologici, i transistors, e creare con essi la struttura e la complessità giusta per arrivare a processi simili a quelli dell’intelligenza umana. Facile a dirlo, ma non certo a farlo. Per questo, nel tempo, sono state intraprese diverse strade per ottenere questo risultato, che per semplicità e sintesi ridurremo a due, quelle principali”.

Ci spieghi.

“La via tradizionale è quella della intelligenza artificiale (IA) ‘simbolica’, che intende replicare, meccanizzandoli, gli stessi processi logici del ragionamento umano. ‘Pensa’, tra mille virgolette, come noi, in modo lineare, un passo alla volta. Questo sistema, però, ha diversi limiti, perché è in grado di procedere solo sulla base di ciò che noi gli diciamo di fare e secondo il modo che noi gli indichiamo. Per questo motivo si è arrivati alla seconda via, relativamente più recente, che è quella della IA ‘connessionista’, che invece di prendere spunto dai processi logici umani si ispira alla struttura e all’organizzazione del cervello, arrivando al concetto, ormai noto, di rete neurale. Queste reti non procedono in modo lineare, ma in parallelo, perchè tutti i singoli componenti interagiscono tra loro in modo reciproco e in contemporanea.

Arrivando a una complessità tale che molti dei processi delle reti neurali artificiali ci sfuggono, così come noi umani, in grado di ragionare e consci di farlo, non conosciamo fino in fondo il modo in cui questa attività sia prodotta dai nostri neuroni”.

Il tema della possibilità di un pensiero non umano, ma meccanizzato, risale a tanto tempo fa. Perché la questione dell’IA è diventata così stringente proprio in questa epoca?

“Perché si è arrivati a un contesto storico in cui questi sistemi hanno potuto realizzare una importante evoluzione, arrivando a risultati e performance impressionanti.

Successi, nello specifico, resi possibili dai progressi stupefacenti nel campo della miniaturizzazione e dalla disponibilità di enormi quantità di dati oggi presenti nella nostra società grazie a Internet, i cosiddetti ‘Big Data’. Ciò che l’IA di oggi fa, infatti, è essenzialmente cercare connessioni statistiche tra i dati e, di conseguenza, più ne ha a disposizione e più diventa performante.

E, soprattutto, si è diffusa una grande attenzione nei confronti dell’IA a causa dell’arrivo di sistemi particolarmente avanzati che, per loro natura, fanno più rumore nel dibattito su questi temi: pensiamo, ovviamente, a ChatGPT, che appare capace di dialogare con gli umani su qualsiasi argomento, come una persona colta e informata”.

Sviluppi impressionanti in poco tempo.
Come approcciarsi a tutto questo? È lecita la preoccupazione sulla loro evoluzione?

“Occorre chiarire, in tutto questo, un fattore fondamentale: nonostante questi risultati strabilianti, nessun sistema attuale di IA è davvero intelligente. Si tratta di sistemi, compreso ChatGPT, che non capiscono in alcun modo ciò che fanno. Nonostante lo facciano molto bene, non ne sono consapevoli. Sono, inoltre, sistemi settoriali, ossia sono costruiti per fare solo un compito specifico e, quindi, sanno fare solo quello. La differenza è data anche dal fatto che c’è un gap ancora imparagonabile tra l’uomo e le macchine: il cervello umano è uno strumento enormemente più complesso del più potente dei computer oggi esistenti o immaginabili in un prossimo futuro: i computer più potenti hanno circa 1.000/2.000 miliardi di transistors, il nostro cervello ha tra 100mila miliardi e 10 milioni di miliardi di sinapsi”.

È dunque impossibile ipotizzare l’esistenza di una IA assimilabile o addirittura superiore all’intelligenza umana, con tutti i rischi annessi e connessi?

“No, non è impossibile la creazione di una vera IA, detta ‘IA generale’, di tipo umano.

Che, inevitabilmente, sarebbe di molto superiore alla nostra. In linea di principio, infatti, nulla vieta di costruire un computer che abbia tanti transistors quanti i neuroni del cervello, assemblati in modo uguale o migliore. Le difficoltà profonde stanno nella pratica. Per questo si sta cercando di mettere in atto diverse strategie, tutte complesse e ostacolate da seri problemi”.

(1-continua)