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Inneschi di pace in tempi di guerra

PAPA GIOVANNI XXIII. Un convegno per ricordare i 50 anni della scelta dell’obiezione di coscienza, ma soprattutto per far crescere una cultura di pace ‘disarmata e disarmante’

Rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro. Ognuno è chiamato a difendere la pace”. Messaggio più chiaro non poteva venire dalla due giorni di riflessione proposta dalla comunità Papa Giovanni XXIII a 50 anni dalla scelta dell’obiezione di coscienza come strumento di costruzione della pace. 3500 sono stati in questi 10 lustri gli obiettori di coscienza in servizio civile nella comunità.

Due giorni, 12 e 13 dicembre, di testimonianze, incontri, gruppi di lavoro, arricchiti dalla presenza di tante persone impegnate nelle associazioni, nel mondo politico, nell’arte e nella società civile: il Convegno è stato l’occasione per approfondire il momento storico che stiamo vivendo, segnato dalla moltiplicazione dei conflitti armati, dal riarmo globale e da attacchi eversivi alla democrazia e alle istituzioni internazionali, approfondire per porre nuovi inneschi, che favoriscano risposte di pace. « C’è il desiderio , spiega Matteo Fadda, Presidente della Comunità – di portare avanti un confronto su obiezione di coscienza, leva obbligatoria e volontaria, alternative credibili e praticabili”.

Il primo lavoro da compiere è sul linguaggio, che ha un peso politico specifico.

Oggi tutti parlano di pace, anche chi prepara la guerra. La parola è svuotata di significato, basta pensare al premio per la pace conferito a Trump dalla Fifa e agli ‘accordi di pace” di Sharm el Sheikh. In ambito educativo Erika Degortes, dottoranda in Studi di Pace, ha richiamato la necessità di distinguere tra conflitto e violenza, parlando di “ igiene del conflitto’, ovvero della capacità di “ riconoscerlo e gestirlo con strumenti non violenti per impedirne l’escalation”.

I lettori de il Ponte ricorderanno l’intervento del prof. Stefano Zamagni proprio su questo tema (“ La guerra è un frutto marcio di persone che la vogliono” del 23/11/2025).

Il contesto europeo appare sempre più segnato da una deriva militarista e da uno svuotamento delle istituzioni democratiche.

Molto applaudito l’intervento “di cuore” di Giovanni Grandi, uno dei disobbedienti della comunità Papa Giovanni, che, come obiettore, rischiando il carcere si recò in Bosnia nei tempi della guerra nella ex-Jugoslavia. “ È paradossale. Si continua a dire che sono in crisi i movimenti nonviolenti, quando invece sono in

crisi l’economia di guerra e gli eserciti. Le armi hanno avuto la delega alla pace. Ebbene vi sembra che abbiano procurato qualche pace? Eppure continuiamo a scommettere sulla guerra!”.

Anche nel suo intervento, Giulio Marcon, portavoce della

Campagna Sbilanciamoci, ha denunciato il riarmo come una scelta miope e pericolosa, che sottrae risorse alla vita delle persone e consolida un’economia di guerra sempre più strutturale. La stessa cosa ha detto Marco Mascia, professore di Relazioni Internazionali all’Università di Padova, “ la vera sicurezza non nasce dalla corsa agli armamenti, ma da investimenti in istruzione, sanità, welfare e giustizia sociale. Senza diritti, non c’è sicurezza”.

Non di routine l’intervento del vescovo Nicolò, che ha legato le sue parole alla recente Nota pastorale della Cei “ Educare ad un pace disarmata e disarmante”, più volte citata nella due giorni. Monsignor Anselmi infatti ha annunciato che in Diocesi alla Settimana Biblica si accompagnerà, dall’anno che viene, una Settimana di studio della Dottrina Sociale della Chiesa.

Dobbiamo passare dalle parole ai fatti, dalle enunciazioni alla vita.

Guerra e violenza non appartengono al Vangelo”. I contributi alla due giorni sono stati tanti e di grande interesse. È possibile ascoltarli direttamente su https://www. youtube.com/live/4JLMXNccKUk.

Da non perdere.