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Il papa e le tasse

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Oggi, come ai tempi della Bibbia, chi riscuote le tasse rischia di essere percepito nella società come un nemico da cui guardarsi. Lo sappiamo, è così”.

Lo ha fatto notare il Papa, che ricevendo in udienza una delegazione dell’Agenzia delle Entrate ha stigmatizzato “una certa cultura del sospetto si può estendere verso coloro che sono incaricati di far rispettare le leggi”. “Eppure questo è un compito fondamentale, perché la legalità tutela tutti”, ha esclamato Francesco: “È garanzia di uguaglianza. Le leggi consentono di mantenere un principio di equità laddove la logica degli interessi genera disuguaglianze”.

“La legalità in campo fiscale è un modo per equilibrare i rapporti sociali, sottraendo forze alla corruzione, alle ingiustizie, alle sperequazioni”, la tesi del Papa: “ Ma questo richiede una certa formazione e un cambiamento culturale”.

“Come spesso si dice, infatti, il fisco viene visto come un ‘mettere le mani in tasca’ alle persone”, la denuncia di Francesco: “In realtà, la tassazione è segno di legalità e giustizia.

Deve favorire la redistribuzione delle ricchezze, tutelando la dignità dei poveri e degli ultimi, che rischiano sempre di finire schiacciati dai potenti”.

Il fisco, in altre parole, “quando è giusto, è in funzione del bene comune”: “Lavoriamo perché cresca la cultura del bene comune, questo è importante – l’invito – perché si prenda sul serio la destinazione universale dei beni, che la dottrina sociale della Chiesa continua a insegnare anche oggi, ereditandola dalla Scrittura e dai Padri della Chiesa”.

Questo è quanto ha detto il Papa. Ce n’è da riflettere per tutti, cittadini, politica, Agenzia delle Entrate stessa.

È in gioco un grande cambiamento di mentalità, ma anche di leggi. Una riforma vera e duratura che non può non partire dalla diversa modalità di pagamento delle tasse tra lavoratori dipendenti e autonomi. I primi le pagano con le ritenute alla fonte e fino all’ultimo centesimo, i secondi dichiarano o nascondono il proprio reddito con un ampio margine di discrezionalità.

L’Agenzia delle Entrate fa pochi controlli e, anche quando è in possesso di elementi sui contribuenti infedeli, spesso è bloccata dalle norme sulla privacy, che non permettono di mettere a confronto i dati di cui già lo Stato è in possesso (alla faccia dell’algoritmo che lo permetterebbe).

I cittadini del resto lamentano una costante presunzione di evasione da parte del fisco, che si comporta come un Robin Hood a rovescio e applica sempre il massimo le sue tariffe, per cui il più tartassato è proprio il cittadino onesto, quello che dichiara tutto, o per meglio dire, ahimè, dichiarava, in attesa di riforme eque che non arrivano mai. Un meccanismo perverso che rigenera se stesso.

Don Milani diceva: «Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali tra disuguali».