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Il ‘miracolo’ del Vasari

ARTE E STORIA. Quando nel 1797 le armate francesi entrano a Rimini, comincia la soppressione degli ordini religiosi e la dispersione delle opere artistiche. Due dipinti del pittore toscano, però, scampano ‘miracolosamente’ alle requisizioni

Il 1797 rappresenta, per Rimini, l’anno in cui lo status quo, per quanto fragile, subisce un brusco sconvolgimento, finendo nella tumultuosa vicenda rivoluzionaria francese. È l’anno, infatti, in cui i soldati francesi entrano in città, in una delle fasi finali di quella campagna d’Italia che consacra alla fama un giovane Napoleone Bonaparte. Nel febbraio di quell’anno, circa 3.000 uomini si stabiliscono nella città riminese, frantumando l’equilibrio urbano, umano e artistico-culturale. Da questo ultimo punto di vista, furono tanti i beni che, secondo ciò che i francesi definivano ‘diritto di conquista’, vennero requisiti, portando a una dispersione del patrimonio artistico-culturale della città. Tra questi, però, a seguito di particolari vicissitudini, due tele di Giorgio Vasari riuscirono a scampare ‘miracolosamente’ a queste requisizioni. Una vicenda illustrata in modo approfondito (in un focus redatto da Eleonora Gessaroli) nel libro Romagna Arte e Storia (Panozzo Editore, 2011), di cui proponiamo alcuni estratti.

“Il 20 giugno 1797 venne affisso ‘di soppiatto’ l’editto che prevedeva la soppressione di tutti gli ordini religiosi con meno di quindici sacerdoti, con l’obbligo di inventariarne tutti i beni posseduti. Essi furono definiti Beni Nazionali Rivendicati: ovvero, per diritto di conquista, spettavano alla Francia ed essa era libera di deciderne le sorti. Questo editto fu soltanto il primo di una lunga serie. Le soppressioni degli ordini religiosi procedettero in massa negli anni successivi, i decreti più disastrosi furono emanati nel 1802 e nel 1805 quando si arrivò a stabilire la sussistenza di appena sei edifici religiosi. […] Tutto ciò causò un massiccio spostamento di conventi, monasteri, chiese con i loro relativi beni, arredamenti e suppellettili varie. Al pari delle altre città anche il patrimonio storico artistico riminese fu dilaniato dal vorace appetito napoleonico”. […]

La dispersione del patrimonio riminese

“Scossa nei secoli da forti terremoti e frequenti alluvioni, la città viveva del commercio e dell’agricoltura.

Le uniche ricchezze si concentravano nelle confraternite.

[…] I furti furono all’ordine del giorno, spesso commessi dai monaci costretti ad abbandonare l’abito o da coloro che li dovevano trasportare o sorvegliare. Il governo si accorse tardivamente di queste ruberie e i provvedimenti presi furono tardivi e inefficaci. Si ebbe così una dispersione nella dispersione, di cui è impossibile rintracciare anche solo le linee principali in quanto mancano documenti precisi. Solo dopo l’inizio del XIX secolo è possibile ricostruire qualche passaggio grazie alla creazione dell’Agenzia Nazionale,

della richiesta costante degli inventari e della nomina sia dei custodi demaniali sia dei commissari napoleonici. […] A Rimini furono tre i dipinti che presero la via di Milano: la Sant’Eufemia di Donato Creti (proveniente dall’omonima chiesa soppressa), la Deposizione del Cotignola

(proveniente dall’oratorio di Santa Maria in Agumine) e il San Giacomo in gloria di Simone Cantarini (proveniente dall’omonima chiesa, anch’essa soppressa)”. […]

I dipinti scampati alle ‘rapine’

“Ci furono però alcuni dipinti che, pur solleticando l’appetito dei commissari, riuscirono a rimanere in città: tra questi il San Girolamo del Quercino e i due capolavori che Giorgio Vasari aveva lasciato a Rimini nel lontano 1547. Prima tra tutte l’Adorazione dei Magi presso l’abazia olivetana sul colle di Covignano. In qualità di complesso religioso, essa fu tra le prime chiese a essere soppressa, precisamente nel 1797. Successivamente, nel 1801, ad essa si concentrò la chiesa parrocchiale di San Fortunato. […] Nel 1809 la direzione generale del demanio richiese la verifica dei titoli di proprietà di molte opere nel dipartimento del Rubicone. […] In un documento dattiloscritto, conservato nella biblioteca Gambalunga di Rimini si può notare che, nel giugno del 1809, la pala del Vasari a San Fortunato risultava d’incerta collocazione e nulla si sapeva circa il suo stato di conservazione. Venne quindi incaricato un ricevitore demaniale a compiere personalmente alcune ricerche a Rimini. Gli esiti delle indagini furono riferiti in data 26 giugno e nella lettera si affermava che l’‘Epifania’ era collocata sull’altare maggiore della chiesa dei soppressi monaci olivetani e dunque apparteneva al demanio. In un’altra lettera, relativa sempre alla verifica dei titoli di proprietà, datata 16 novembre 1809, si registra una dicotomia sospetta: il ricevitore demaniale, nel suo precedente rapporto, affermava che il quadro era in ottimo stato conservativo ma un documento scritto dall’Arciprete della parrocchia, indirizzato al prefetto del demanio, informa circa il precario stato conservativo dell’opera. Essa infatti aveva sofferto molto e dunque non era in grado di sopportare il minimo spostamento. […] La soluzione si trova scritta nell’ultimo documento in cui viene citata la pala vasariana datato al 24 luglio 1810: essendo la chiesa diventata parrocchiale ed essendo essa allora sussistente, i beni in essa conservati non erano colpiti dal sovrano decreto. La tavola di Vasari restò sul colle di Covignano, là dove il pittore fiorentino l’aveva realizzata. […] L’altra opera finita nel mirino napoleonico era il San Francesco che riceve le stimmate, realizzata dal Vasari nel 1548 per la chiesa francescana della città.

Nemmeno questa chiesa (il Tempio Malatestiano) fu risparmiata dai decreti soppressivi del 1805, per tanto fu chiamata ad ospitare la chiesa Cattedrale di Santa Colomba. Al San Francesco però spettò una vicenda un po’ diversa rispetto all’opera sorella. Anch’essa era reclamata a gran voce dal demanio che ne voleva disporre in piena autorità così, durante la verifica dei titoli di proprietà effettuata nel giugno 1809, essa viene considerata di proprietà dello Stato in quanto conservata all’interno del Tempio Malatestiano, allora consacrato a Santa Colomba. Il direttore del demanio, ricevuta questa notizia, sollecitò l’invio del quadro a Forlì, nel consueto punto di raccolta, per poi inviarlo a Milano. Ma il 5 luglio dello stesso anno il Vescovo della città di Rimini scrisse una lettera al ricevitore demaniale facendogli notare che il quadro, essendo dedicato al precedente santo titolare della chiesa, era stato tolto dall’altar maggiore (al cui posto era stato collocato un quadro raffigurante Santa Colomba), ma per essere semplicemente ricollocato su un’altra parete, sempre all’interno del Tempio.

A conclusione della lettera il buon Vescovo ricorda che l’ex chiesa di San Francesco aveva ricevuto la sussistenza (in qualità di nuova cattedrale) dal sovrano decreto emanato nel 1805 per volontà dello stesso principe Eugenio. Per tanto, in maniera elegantemente implicita, il demanio venne ragguagliato sull’effettivo titolo di proprietà del dipinto. Tale lettera fortunatamente sortì l’effetto sperato e il demanio rinunciò a ogni pretesa nei confronti del dipinto, che ancora oggi decora la cappella a sinistra dell’abside del nostro Tempio Malatestiano”.