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Il compleanno della rinascita

Elisa Fanti

Elisa FantiLa sua è una storia di paura.

Di dolore. Di speranze andate infrante. Di sguardi verso il cielo come a dire: «Signore, cosa ti ho fatto di male per meritarmi tutto questo?». La malattia che non le dà tregua. Gli interrogativi che diventano sempre più pressanti. Poi, all’improvviso, nel giorno del suo 46° compleanno, ecco la telefonata tanto attesa. Il regalo più grande. La corsa all’ospedale.

Il trapianto. Il risveglio. E quel grazie. A Dio e alla persona che donando il suo rene, l’ha salvata.

“È proprio vero, quando il Signore si mette al timone della tua vita, ti sconvolge tutti i tuoi piani”.

Già, perché quelli di Elisa (Fanti) erano scritti nero su bianco. Lo studio, l’incontro con Alberto, il fidanzamento, il matrimonio. E poi la nascita di Nicole e l’arrivo, nel 2004, di Federico. Insomma, tutto sembrava andare a gonfie e vele. Invece…

“Invece succede che dopo la nascita di Federico inizio ad avere qualche problemino di salute e così decidono di farmi degli esami e scoprono che ho un’insufficienza renale cronica.

Colpa di un rene completamente atrofizzato. Non solo, mi trovano anche una malattia autoimmune, la sindrome di Berger che naturalmente attacca l’altro rene, quello buono. La fortuna, se così la si può chiamare, è che all’inizio questa malattia rimane latente, nel senso che non si manifesta in tutta la sua pericolosità. I medici, però, mi dicono di stare all’erta, controllata, perché è un tipo di sindrome che quando ti attacca lo fa in modo massiccio e lì, poi, son dolori”.

Cosa che capita nel 2016, a distanza di ben undici anni.

“All’improvviso, da un giorno all’altro, i valori hanno iniziato a sballarsi in modo preoccupante, tanto che i medici hanno deciso immediatamente di operarmi, inserendomi un catetere per fare la dialisi peritoneale. Una cosa che all’inizio ho faticato ad accettare perché fino a quel momento non avevo mai avuto nessun tipo di problema. Facevo la mia vita normalissima, l’unica cosa erano le analisi a cui dovevo sottopormi ogni due, tre mesi. Poi, però, quando la malattia si è manifestata ho iniziato ad avere una serie di complicazioni piuttosto importanti che hanno portato i medici a prendere la decisione di inserirmi questo catetere”.

Catetere che è servito per fare la dialisi da casa, senza recarsi all’ospedale.

“Esattamente. A differenza della dialisi che tutti conoscono, questa è un tipo di procedura che si fa per osmosi, ed è possibile farla a casa.

L’ospedale ti fornisce un macchinario con un liquido formato da acqua e zucchero che, arrivando nel peritoneo, assorbe tutte le scorie. La dico così, con parole molto semplici, giusto per farmi capire”.

Anche in questo caso, però, accettare la nuova situazione non è stato facile.

“Assolutamente no perché la dialisi mi impediva di vivere la vita che fino a quel momento avevo vissuto. Una vita fatta di impegni quotidiani in famiglia, nel laboratorio analisi dove lavoravo, ma anche di svago, soprattutto la sera. Una pizza con le amiche, un cinema, un aperitivo… era diventato tutto impossibile perché il ciclo aveva una durata di otto ore e, alzandomi presto la mattina, non è che potessi andare a letto tardi. Non avevo proprio il tempo materiale. E quindi mi sono ritrovata catapultata in una situazione che non era mia e come tutte le cose che non conosci, all’inizio ti spaventa. In più c’era questa rabbia alla quale non riuscivo a dare sfogo. Mi ricordo che guardavo il Crocefisso che abbiamo in casa e gli domandavo perché. Perché proprio a me? Perché quella che fino a un paio di settimane prima era una vita splendida, adesso aveva dovuto subire un cambiamento così drastico?”.

Cambiamento che è andato a ripercuotersi anche sulla vita familiare.

“Questa è stata un’altra cosa che, soprattutto nei primi mesi, non riuscivo ad accettare. Non bastavo io ad essere limitata, ma costringevo anche mio marito e i miei figli a rinunciare a quelle piccole cose che poi sono il vero sale della vita. Una situazione che è durata per qualche tempo, finché mi sono detta che non potevo subire la malattia in quel modo. E allora è cambiato tutto.

Anche perché, nel frattempo, sono accadute cose che mi hanno fatto rendere conto che c’era chi stava peggio di me e che se il Signore mi aveva dato quella croce, significava che io potevo portarla.

Allora ho iniziato anche a scherzarci sopra. Andavo in giro, per casa, con il mio carrellino urlando pop corn, gelati! Sono tornata al mare, siamo andati in vacanza. Questo grazie anche alla ditta che fornisce il materiale. Tu le dici dove ti trovi e loro ti portano tutto il necessario. Diciamo che da quel momento non mi sono fatta mancare più nulla”.

Ma la sfortuna ancora una volta era in agguato.

“Chiamiamola così (ride, ndr).

Circa quattro anni fa sono stata messa in lista per il trapianto di rene sia a Bologna sia a Verona.

Per tre anni non ho sentito nessuno, poi, il primo agosto 2019, mi hanno chiamata.

Naturalmente ero felicissima, ma c’era qualcosa che non mi lasciava tranquilla, sapevo di essere la quinta in graduatoria e di solito si chiamano i primi. Infatti la sera stessa mi chiesero scusa: ci siamo sbagliati. E lì è stata la prima delusione. Poi mi hanno richiamato a settembre, ma in quel caso il rene non andava bene, e quindi altro buco nell’acqua.

Arriviamo a fine febbraio 2020: terza telefonata, solo che questa volta le cose sembrano andare per il verso giusto. Arrivo a Bologna, mi ricoverano, mi fanno gli esami, mi preparano per il trapianto, mi dicono che il rene è ottimo, che è di un ragazzo appena maggiorenne (era il nipote di Romano Prodi, ndr), ma alle 9 della mattina mi rimandano a casa perché in Sicilia c’era stata un’urgenza e l’altro rene lo avevano dato a un giovane che doveva fare un trapianto multiorgano. Ecco, lì ho guardato di nuovo il Crocefisso e non nascondo che mi sono arrabbiata e non poco con il buon Dio. Non capivo il perché. Addirittura a due passi dalla sala operatoria. Poi, però, come sempre, con calma, pregandoci sopra, ho ringraziato il Signore. Erano i giorni in cui il Covid era all’apice del contagio e quindi, alla fine, è stata una benedizione non essermi operata. Sarebbe stata una situazione difficilissima da gestire”.

Il tempo scorre, il Covid rallenta la morsa e il 18 luglio arriva un’altra chiamata.

“Riparto, convinta che questa sia la volta buona. Arrivo a Bologna, sbrigo le pratiche, ma dopo pochi minuti vedo arrivare il medico. La faccia racconta un finale già visto.

Il rene non è buono, non se ne fa nulla. A quel punto la disperazione ha preso possesso della mia mente, ricordo che nel viaggio di ritorno non ho detto una parola, avevo il morale sotto i tacchi”.

Ma passa solo una settimana e il telefono squilla nuovamente.

“Ero all’House Of Rock a sentire i The Vipers, il gruppo che fa le cover dei Queen. Il giorno successivo, il 25 luglio, sarebbe stato il mio compleanno e avevo deciso di dedicarmi una sera. Ne avevo proprio bisogno dopo quell’ennesimo buco nell’acqua.

Fatto sta che erano circa le 23 quando il telefono inizia a vibrare.

Credevo fosse mio figlio che mi avvertiva di essere rincasato. Poi guardo il numero e vedo che è l’ospedale, sono schizzata fuori in un attimo. La dottoressa mi dice che il rene c’è, ed è buono.

Conscia di quanto successo precedentemente, le chiedo di non illudermi un’altra volta, ma lei mi rassicura: venga, questa è la volta buona. Volo a casa dove mio figlio mi avverte che mi avevano contattato anche da Verona, proprio negli stessi minuti.

Insomma, ho due reni che sembrano compatibili. Saliamo in macchina e andiamo a Bologna, arrivo, solita trafila, ma questa volta entro in sala operatoria.

Diciamo che come regalo di compleanno non potevo chiedere di meglio”.

Una storia, la sua, che le ha lasciato tanti insegnamenti.

“Il primo, il più importante, è che il Signore ha per noi un disegno ben preciso e non possiamo modificarlo, dobbiamo solo essere capaci di affidarci completamente a Lui. Cosa che, però, non sempre è facile, soprattutto quando ti trovi a convivere con il dolore. Io, ogni tanto, qualche dubbio l’ho avuto e non mi vergogno a dirlo. Il secondo insegnamento è che bisogna vivere la vita in ogni suo attimo. Non rimandare mai a domani quello che puoi fare oggi.

Adesso. Perché non sai cosa accadrà nel tuo futuro. Il terzo è quello di non mollare mai ed essere sempre positiva”.

Quella positività che nel suo percorso ad ostacoli le hanno sempre trasmesso i medici.

“Devo ringraziare in particolar modo il dottor Roberto Boccadoro ed Ester Chierighini per la loro grande umanità. Un grazie speciale ai miei figli e a mio marito che mi ha sempre supportato e sopportato. E, infine, un grazie a tutti gli amici del gruppo delle famiglie di Regina Pacis per avermi fatto sentire il loro affetto e per le loro preghiere”.