Home Editoriale Femminicidi: parlarne fa bene?

Femminicidi: parlarne fa bene?

Più volte mi sono chiesto se tutto questo parlare, scrivere, raccontare di femminicidi, sui giornali e in tv, sia utile o addirittura dannoso alla causa delle donne.

Violenza chiama violenza e il proporla ogni volta con tanta dovizia di particolari invece che allontanarla, sembra diventare un invito a chi dei problemi li ha, a proporla lui stesso, come soluzione alle sue fatiche. L’emulazione di certi atteggiamenti nel pensiero malato, di chi è debole, è una tentazione che va considerata. Il giornalismo serio ha scelto di evitare ogni notizia nel caso dei suicidi di minori e di non dare alcun particolare e spesso neppure informazione su quello degli adulti. Il rispetto della persona ha il supporto della scienza che afferma che l’imitazione è un pericolo reale.

Del resto già nel novembre 2017 è stato firmato dai giornalisti in collaborazione con il Ministero delle pari opportunità un manifesto che inizia già a puntualizzare alcune norme come quello
di adottare un comportamento professionale consapevole per evitare stereotipi e assicurare massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate; evitare ogni forma di sfruttamento a fini “commerciali” (più copie, più clic, maggiori ascolti) della violenza sulle donne; e in generale l’obbligo di un uso corretto e consapevole del linguaggio, evitare termini fuorvianti come “amore” “raptus” “follia” “gelosia” “passione” accostati a crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento ed evitare di suggerire attenuanti e giustificazioni all’omicida, anche involontariamente, motivando la violenza con “perdita del lavoro”, “difficoltà economiche”, “depressione”, “tradimento” e così via.

Eppure ogni volta che viene ammazzata una donna qualche giornalista, locale o nazionale, di stampa o tv, non riesce a trattenere la goffa vanità di romanziere noir, con particolari, che sono utili solo a soddisfare la curiosità, spesso morbosa, di chi legge o guarda e ascolta. Come per esempio nei casi di violenza sessuale, la stampa si sofferma ancora sulla bellezza (o meno) della vittima, su cosa indossava al momento dello stupro. In realtà la violenza è trasversale, colpisce tutte le donne, indipendentemente dall’avvenenza, dall’età e da ciò che indossano.

Dal 1° gennaio 2021 il “Testo Unico dei doveri del giornalista” ha introdotto nuove norme e ha ribadito che “nel raccontare l’essenza dei fatti, il giornalista deve attenersi ad un linguaggio rispettoso e corretto evitando espressioni ed immagini lesive della dignità della persona”.

La responsabilità dei media è grande e di questo dobbiamo esserne consapevoli tutti, chi scrive e chi legge, chi parla e chi ascolta, per non diventare in qualche modo responsabili di un fenomeno che non accenna affatto a diminuire, anche perché viene affrontato quasi fosse questione di altri e non di tutti.