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Disabili? Non proprio

Andare oltre la“cultura dello scarto”, come chiede Papa Francesco, è possibile nella vita concreta di tutti i giorni. Per esempio al lavoro (2)

Rendere la persona con disabilità autonoma, realizzata nella vita di tutti i giorni, è un valore per la persona stessa, e lo è per l’intero territorio. Da un lato perché sono persone che con la loro semplicità ti portano a riscoprire il valore del tempo, dell’attesa, delle cose vere della vita. Dall’altro, perché l’inserimento lavorativo riduce la spesa pubblica. Prima tutti i ragazzi con disabilità erano destinati ai centri diurni”, spiega Sabrina Marchetti di Crescere Insieme. Tuttavia, “la legge 68 (del 1999 che introduce l’obbligo per alcune aziende di inserire lavoratori svantaggiati, ndr), con la creazione delle cooperative di tipo a e b non sempre ci ha aiutati”. Il tema è quello della produttività. “Per vivere una cooperativa ha bisogno di partecipare a bandi che richiedono specifici standard di produttività per stare nei margini dei costi. Con i disabili la produttività dovrebbe essere calcolata in modo diverso”.

Con altre parole, spesso papa Francesco esprime lo stesso concetto invitandoci a dire no a quella che lui chiama “cultura dello scarto: uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo”. È possibile. E le storie che Crescere Insieme e altre realtà simili del territorio possono raccontare lo dimostrano (come Cuore21 a Riccione, altro pezzo in pagina, e la cooperativa La Fraternità a Santarcangelo).

“Da sette anni il bagno 26 di Rimini è nostro partner in un progetto di scuola lavoro. Si offre ai ragazzi vicini al diciottesimo un’esperienza nel ristorante. Lì possono cimentarsi in lavori diversi e capire, insieme agli educatori, cosa possa fare di più al caso loro”.

Sulla stessa linea, il progetto Milleorti. “I ragazzi non vanno lì per imparare a fare i contadini, ma affinché l’educatore possa capire, affidando mansioni diverse, le loro skills. E intanto vengono educati su come stare su un luogo di lavoro”.

Progetti da cui “partono gli agganci con le aziende, sia quelle che si muovono per l’obbligo della 68, sia quelle che l’obbligo non ce l’hanno e cercano un nostro ragazzo da inserire nello staff perché portano benessere”. Già, perché? “Sono semplici, conoscono il valore del lavoro, si sentono realizzati. Essere disabili non significa non avere progettualità. E il loro benessere coinvolge anche gli altri”.

E l’aggancio con le aziende come accade praticamente? “A Milleorti sono i cittadini ad entrare in contatto con la disabilità, non siamo noi ad andare da loro. Attraverso Infoalberghi, alcuni gestori di hotel sono venuti a visitare gli orti e incontrando i ragazzi si sono resi disponibili ad ospitare esperienze lavorative nelle loro attività”. Adesso il sogno per Crescere Insieme, che ha attualmente attivi tre contratti annuali e uno stagionale per i suoi ragazzi, è “attivare progetti di alternanza scuola-lavoro”.