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Di fretta si muore

Una vita di corsa e come se non ci fosse futuro. L’urgenza e la fretta pervade ormai ogni momento, dal rapporto con le persone all’organizzazione della giornata, zeppa di tante cose da fare. Accade nelle relazioni personali, nel contesto lavorativo, negli impegni nelle realtà in cui siamo inseriti (anche nella comunità cristiana). La corsa continua da un impegno all’altro, ma anche la velocità che ci aspettiamo nelle comunicazioni (le news) sono indicatori di questo “pensare secondo l’urgenza”. Anche la politica si è abituata a ragionare secondo le “urgenze” e non per programmi sul futuro e soluzioni da ricercare. Basti pensare come i politici trattano la questione delle migrazioni, in questa fase storica tema ineludibile (per guerre, carestie, cambiamenti climatici, sfruttamento…). Tutta questa accelerazione che segna la nostra vita è certamente una delle cause all’origine della stanchezza, che tanti confessiamo di sperimentare nel quotidiano, al punto da ritenerla una condizione cronica. Non è la sensazione che si genera quando realizziamo qualcosa di positivo, quanto piuttosto la percezione di essere prigionieri di un’eterna ripetizione di gesti, incapaci di mettere in discussione una realtà che non avvertiamo più significativa. Accade così che non ci prendiamo neppure il tempo necessario per rileggere un’esperienza vissuta, valutando se sia stata utile e generativa o se sia giusto introdurre modifiche per azioni future o porvi fine. Replichiamo così automatismi ereditati, determinando anche per essi, un tempo validi, una progressiva aridità. Ma per fare tutto ciò spendiamo un’enorme quantità di energie che finisce per essere sprecata. È questo senso di vecchio e di immobilità che si respira nella società e anche nella Chiesa, che si infiltra nei nostri ragionamenti e che conduce ad una presa di distanza dalla realtà (meglio chiudersi protetti in sacrestia, alla faccia delle parole di Papa Francesco), che porta all’indifferenza e ad un graduale calo nell’impegno personale (“Tanto non cambia niente”). Sono questi alcuni temi sottotraccia alla due giorni dei preti, insieme al Vescovo, vissuta a Valdragone.

E da monsignor Nicolò, che pure in Diocesi facciamo girare come una trottola invitandolo ad ogni iniziativa (e lui risponde presente!), viene l’invito ad una governance fatta di lentezza, ascolto, discernimento. Di “accompagnamento” in ciò che si decide e anche di verifica. “All’origine della vita spirituale – ha detto – c’è l’ascolto. Ricordiamo di essere dentro una storia animata dallo Spirito”.

E per fare ascolto ci vuole attenzione e tempo, preghiera (ascolto di Dio) e pazienza. Nessuna fretta. Insieme possiamo camminare.

Il Vescovo Nicolò ha indicato alcuni temi sui quali incominciare a confrontarsi: riconciliazione, parola di Dio, visita alle famiglie, accompagnamento nel lutto, LGBT+, cause di nullità, iniziazione cristiana, zone pastorali, Giubileo, centenario di don Oreste, diaconi, confratelli che si isolano e vita di presbiterio.